RIFLESSIONE DEL PARROCO

La vita familiare come contesto educativo (prima parte)

La famiglia è la prima scuola dei valori umani, dove si impara il buon uso della libertà. Ci sono inclinazioni maturate nell’infanzia che impregnano il profondo di una persona e permangono per tutta la vita, come un’emozione favorevole nei confronti di un valore o come un rifiuto spontaneo di determinati comportamenti. Molte persone agiscono per tutta la vita in una certa maniera, perché considerano valido quel modo di agire che hanno assimilato dall’infanzia, come per osmosi: “A me hanno insegnato così”; “questo è ciò che mi hanno inculcato”. Nell’ambito familiare si può anche imparare a discernere in modo critico i messaggi dei vari mezzi di comunicazione. Purtroppo, molte volte alcuni programmi televisivi o alcune forme di pubblicità incidono negativamente e indeboliscono valori ricevuti nella vita familiare.

Nell’epoca attuale, in cui regnano l’ansietà e la fretta tecnologica, compito importantissimo delle famiglie è educare alla capacità di attendere. Non si tratta di proibire ai ragazzi di giocare con i dispositivi elettronici, ma di trovare il modo di generare in loro la capacità di differenziare le diverse logiche e di non applicare la velocità digitale a ogni ambito della vita. Rimandare non è negare il desiderio, ma differire la sua soddisfazione. Quando i bambini o gli adolescenti non sono educati ad accettare che alcune cose, devono aspettare, diventano prepotenti, sottomettono tutto alla soddisfazione delle proprie necessità immediate e crescono con il vizio del “tutto e subito”. Questo è un grande inganno che non favorisce la libertà, ma la intossica. Invece, quando si educa ad imparare a posporre alcune cose e ad aspettare il momento adatto, si insegna che cosa significa essere padrone di sé stesso, autonomo davanti ai propri impulsi. Così, quando il bambino sperimenta che può farsi carico di sé stesso, arricchisce la propria autostima.          Al tempo stesso, questo gli insegna a rispettare la libertà degli altri. Naturalmente ciò non significa pretendere dai bambini che agiscano come adulti, ma nemmeno bisogna disprezzare la loro capacità di crescere nella maturazione di una libertà responsabile. In una famiglia sana, questo apprendistato si attua in maniera ordinaria attraverso le esigenze della convivenza.

La famiglia è l’ambito della socializzazione primaria, perché è il primo luogo in cui si impara a collocarsi di fronte all’altro, ad ascoltare, a condividere, a sopportare, a rispettare, ad aiutare, a convivere. Il compito educativo deve suscitare il sentimento del mondo e della società come “ambiente familiare”, è un’educazione al saper “abitare”, oltre i limiti della propria casa. Nel contesto familiare si insegna a recuperare la prossimità, il prendersi cura, il saluto. Lì, si rompe il primo cerchio del mortale egoismo per riconoscere che viviamo insieme ad altri, con altri, che sono degni della nostra attenzione, della nostra gentilezza, del nostro affetto. Non c’è legame sociale senza questa prima dimensione quotidiana, quasi microscopica: lo stare insieme nella prossimità, incrociandoci in diversi momenti della giornata, preoccupandoci di quello che interessa tutti, soccorrendoci a vicenda nelle piccole cose quotidiane. La famiglia deve inventare ogni giorno nuovi modi di promuovere il riconoscimento reciproco.

Si verifica tutto questo anche nelle nostre famiglie?
I consigli proposti ci aiutano a crescere bene i nostri bambini?

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