Tendi la tua mano al povero
In questa penultima domenica dell’anno liturgico, il Vangelo ci presenta la celebre parabola dei talenti (cfr Mt 25,14-30). Fa parte del discorso di Gesù sugli ultimi tempi, che precede immediatamente la sua passione, morte e risurrezione. La parabola racconta di un ricco signore che deve partire e, prevedendo una lunga assenza, affida i suoi beni a tre dei suoi servi: al primo affida cinque talenti, al secondo due, al terzo uno. Gesù specifica che la distribuzione è fatta «secondo le capacità di ciascuno» (v. 15). Così fa il Signore con tutti noi: ci conosce bene, sa che non siamo uguali e non vuole privilegiare nessuno a scapito degli altri, ma affida a ciascuno un capitale commisurato alle capacità.
Durante l’assenza del padrone, i primi due servi si danno molto da fare, sino al punto di raddoppiare la somma loro affidata. Non così il terzo servo, il quale nasconde il talento in una buca: per evitare rischi, lo lascia lì, al riparo dai ladri, ma senza farlo fruttare. Arriva il momento del ritorno del padrone, il quale chiama i servi al rendiconto. I primi due presentano il buon frutto del loro impegno, hanno lavorato e il padrone li loda, li ricompensa e li invita a partecipare alla sua festa, alla sua gioia. Il terzo, invece, accorgendosi di essere in difetto, comincia subito a giustificarsi, dicendo: «Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo» (vv. 24-25). Si difende della sua pigrizia accusando il padrone di essere “duro”. Questa è un’abitudine che anche noi abbiamo: ci difendiamo, tante volte, accusando gli altri. Ma loro non hanno colpa: la colpa è nostra, il difetto è nostro. E questo servo accusa gli altri, accusa il padrone per giustificarsi. Anche noi, tante volte, facciamo lo stesso. Allora il padrone lo rimprovera: lo chiama servo «malvagio e pigro» (v. 26); gli fa togliere il talento e lo fa gettare fuori dalla sua casa.
Questa parabola vale per tutti ma, come sempre, in particolare per i cristiani. Anche oggi ha tanta attualità: oggi, che è la Giornata dei poveri, dove la Chiesa dice a noi cristiani: «Tendi la mano al povero. Tendi la tua mano al povero. Non sei solo nella vita: c’è gente che ha bisogno di te. Non essere egoista, tendi la mano al povero». Tutti abbiamo ricevuto da Dio un “patrimonio” come esseri umani, una ricchezza umana, qualunque sia. E come discepoli di Cristo abbiamo ricevuto anche la fede, il Vangelo, lo Spirito Santo, i sacramenti e tante altre cose. Questi doni bisogna utilizzarli per operare il bene, per operare il bene in questa vita, come servizio a Dio e ai fratelli. E oggi la Chiesa ti dice, ci dice: «Utilizza quello che ti ha dato Dio e guarda i poveri. Guarda: ce ne sono tanti; anche nelle nostre città, nel centro della nostra città, sono tanti. Fate il bene!». Noi, a volte, pensiamo che essere cristiani sia non fare del male. E non fare del male è buono. Ma non fare del bene, non è buono. Noi dobbiamo fare del bene, uscire da noi stessi e guardare, guardare coloro che hanno più bisogno. C’è tanta fame, anche nel cuore delle nostre città, e tante volte noi entriamo in quella logica dell’indifferenza: il povero è lì, e guardiamo da un’altra parte. Tendi la tua mano al povero: è Cristo. Alcuni dicono: «Ma questi preti, questi vescovi che parlano dei poveri, dei poveri… Noi vogliamo che ci parlino della vita eterna!». Guarda, fratello e sorella, i poveri sono al centro del Vangelo; è Gesù che ci ha insegnato a parlare ai poveri, è Gesù che è venuto per i poveri. Tendi la tua mano al povero. Hai ricevuto tante cose, e tu lasci che tuo fratello, tua sorella muoia di fame? Cari fratelli e sorelle, ognuno dica nel suo cuore questo che Gesù ci dice oggi, ripeta nel suo cuore: «Tendi la tua mano al povero». E ci dice un’altra cosa, Gesù: «Sai, il povero sono io». Gesù ci dice questo: «Il povero sono io».
La Vergine Maria ha ricevuto un grande dono: Gesù stesso, ma non l’ha tenuto per sé, io ha dato al mondo, al suo popolo. Impariamo da lei a tendere la mano ai poveri.