Interiorità in crisi (9)
Come spesso, quando va in crisi un valore spirituale o di fede, ne resta in piedi il simulacro che è l’equivalente secolare di quello stesso valore. L’equivalente secolare, naturale o laicista, dell’interiorità si chiama oggi, in psicologia, introspezione e in altri campi, concentrazione. Gli atleti e tutti quelli che si accingono a qualche impresa che richiede tutte le energie, conoscono l’importanza della concentrazione. Abbiamo presente alla mente immagini di atleti tutti raccolti in sé stessi, pronti a lanciarsi verso la meta, come se dovessero mettersi in contatto con una fonte misteriosa di energia che è dentro di loro. Lo stesso fa l’artista, il direttore d’orchestra. Non c’è nulla che nuoccia tanto a un atleta o a un artista, quanto l’essere «deconcentrato» ed è a ciò che viene attribuito volentieri l’eventuale insuccesso. È una pallida idea di quello che avviene nel campo dello spirito e della fede cristiana, dell’importanza della contemplazione e del raccoglimento del cuore, della coscienza, da cui deve scaturire l’azione.
Se vogliamo dunque imitare ciò che ha fatto Dio, imitiamolo davvero fino in fondo. È vero che egli si è svuotato, è uscito da sé, dall’interiorità divina trinitaria, per venire nel mondo. Ma sappiamo come ciò è avvenuto. «Ciò che era rimase, ciò che non era lo assunse», dicono gli antichi padri a proposito dell’incarnazione. Senza abbandonare il seno del Padre, il Verbo venne in mezzo a noi. Egli era «tutto in se stesso e tutto in noi» (san Leone Magno). Anche noi andiamo pure verso il mondo, ma senza uscire mai del tutto da noi stessi. dD