Interiorità in crisi (10)
«L’uomo interiore – dice il Libro dell’Imitazione di Cristo – si raccoglie spontaneamente perché non si disperde mai del tutto nelle cose esterne. A lui non è di pregiudizio l’attività esterna e le occupazioni a suo tempo necessarie, ma sa adattarsi alle circostanze» (cap. 2°). Come fare, concretamente, per ritrovare e conservare l’abitudine all’interiorità. Mosè era un uomo attivissimo. Ma si legge che si era fatto costruire una tenda portatile e a ogni tappa dell’esodo issava la tenda fuori dell’accampamento e regolarmente entrava in essa per consultare il Signore. Li, il Signore parlava con Mosè «faccia a faccia, come un uomo parla con un altro» (Esodo 33, 11). Ma anche questo non sempre si può fare. Non sempre ci si può ritirare in una cappella o in un luogo solitario per ritrovare il contatto con Dio. San Francesco d’Assisi suggerisce perciò un altro accorgimento più a portata di mano. Mandando i suoi frati per le strade del mondo, diceva: Noi abbiamo un eremitaggio sempre con noi dovunque andiamo e ogni volta che lo vogliamo possiamo, come eremiti, rientrare in questo cremo. «Fratello corpo è l’eremo e l’anima l’eremita che vi abita dentro per pregare Dio e meditare» (Fonti Francescane, 1636). Francesco riprende così, in forma tutta sua, l’antica e tradizionale idea della cella interiore che ognuno porta con sé, anche andando per strada, e in cui è sempre possibile ritirarsi con il pensiero, per riannodare un contatto vivo con la Verità che abita in noi.
Maria è l’immagine plastica dell’interiorità cristiana. Ella che per nove mesi ha portato, anche fisicamente, il Salvatore ci ottenga di fare Pasqua: passare dall’esteriorità all’interiorità, dal chiasso al silenzio, dalla dissipazione al raccoglimento, dalla dispersione all’unità, dal mondo a Dio.
dD