RIFLESSIONE DEL PARROCO

Violenza e manipolazione
Nel contesto di questa visione positiva della sessualità, è opportuno impostare il tema nella sua integrità e con un sano realismo. Infatti non possiamo ignorare che molte volte la sessualità si spersonalizza ed anche si colma di patologie, in modo tale che diventi sempre più occasione e strumento di affermazione del proprio io e di soddisfazione egoistica dei propri desideri e istinti. In questa epoca, diventa alto il rischio che anche la sessualità sia dominata dallo spirito velenoso dell’“usa e getta”. Il corpo dell’altro, è spesso manipolato come una cosa da tenere finché offre soddisfazione e da disprezzare quando perde attrattiva. Si possono forse ignorare o dissimulare le costanti forme di dominio, prepotenza, abuso, perversione e violenza sessuale, che sono frutto di una distorsione del significato della sessualità, che seppelliscono la dignità degli altri e l’appello all’amore sotto un’oscura ricerca di sé stessi?
Non è superfluo ricordare che anche nel matrimonio la sessualità può diventare fonte di sofferenza e di manipolazione. Per questo, dobbiamo ribadire con chiarezza che, un atto coniugale imposto al coniuge senza nessun riguardo alle sue condizioni ed ai suoi giusti desideri, non è un vero atto di amore e nega pertanto un’esigenza del retto ordine morale nei rapporti tra gli sposi. Gli atti propri dell’unione sessuale dei coniugi, rispondono alla natura della sessualità voluta da Dio se sono compiuti in modo veramente umano. Per questo san Paolo esortava: «Che nessuno in questo campo offenda o inganni il proprio fratello» (1 Ts 4,6). Sebbene Egli scrivesse in un’epoca in cui dominava una cultura patriarcale, nella quale la donna era considerata un essere completamente subordinato all’uomo, tuttavia insegnò che la sessualità dev’essere una questione da trattare tra i coniugi: prospettò la possibilità di rimandare i rapporti sessuali per un certo periodo, però «di comune accordo» (1 Cor 7,5).
San Giovanni Paolo II, ha dato un avvertimento molto sottile quando ha affermato che l’uomo e la donna sono minacciati dall’insaziabilità. Vale a dire che sono chiamati ad un’unione sempre più intensa, ma il rischio sta nel pretendere di cancellare le differenze e quell’inevitabile distanza che vi è tra i due, perché ciascuno possiede una dignità propria e irripetibile. Quando la preziosa appartenenza reciproca si trasforma in dominio, cambia [] essenzialmente la struttura di comunione nella relazione interpersonale. Nella logica del dominio, anche chi domina finisce per negare la propria dignità e in definitiva cessa di identificarsi soggettivamente con il proprio corpo, dal momento che lo priva di ogni significato.
Vive il sesso come evasione da sé stesso e come rinuncia alla bellezza dell’unione.
È importante essere chiari nel rifiuto di qualsiasi forma di sottomissione sessuale. Perciò, è opportuno evitare ogni interpretazione inadeguata del testo della Lettera agli Efesini, dove si chiede che «le mogli siano [sottomesse] ai loro mariti» (Ef 5,22). San Paolo, qui si esprime in categorie culturali proprie di quell’epoca, ma noi non dobbiamo assumere tale rivestimento culturale, bensì il messaggio rivelato che soggiace all’insieme della pericope. Riprendiamo la sapiente spiegazione di san Giovanni Paolo II: L’amore esclude ogni genere di sottomissione, per cui la moglie diverrebbe serva o schiava del marito []. La comunità o unità che essi debbono costituire a motivo del matrimonio, si realizza attraverso una reciproca donazione, che è anche una sottomissione vicendevole.
Per questo si dice anche che «i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo» (Ef 5,28). In realtà il testo biblico invita a superare il comodo individualismo per vivere rivolti agli altri: «Siate sottomessi gli uni agli altri» (Ef 5,21). Tra i coniugi questa reciproca “sottomissione”, acquisisce un significato speciale e si intende come un’appartenenza reciproca liberamente scelta, con un insieme di caratteristiche di fedeltà, rispetto e cura. La sessualità è in modo inseparabile al servizio di tale amicizia coniugale, perché si orienta a fare in modo che l’altro viva in pienezza.
Tuttavia, il rifiuto delle distorsioni della sessualità e dell’erotismo, non dovrebbe mai condurci a disprezzarli o a trascurarli. L’ideale del matrimonio, non si può configurare solo come una donazione generosa e sacrificata, dove ciascuno rinuncia ad ogni necessità personale e si preoccupa soltanto di fare il bene dell’altro senza alcuna soddisfazione. Ricordiamo che un vero amore sa anche ricevere dall’altro, è capace di accettarsi come vulnerabile e bisognoso, non rinuncia ad accogliere con sincera e felice gratitudine le espressioni corporali dell’amore nella carezza, nell’abbraccio, nel bacio e nell’unione sessuale.
Benedetto XVI, fu chiaro a tale proposito: Se l’uomo ambisce di essere solamente spirito e vuol rifiutare la carne come un’eredità soltanto animalesca, allora spirito e corpo perdono la loro dignità. Per questa ragione, l’uomo non può neanche vivere esclusivamente nell’amore oblativo, discendente. Non può sempre soltanto donare, deve anche ricevere. Chi vuol donare amore, deve egli stesso riceverlo in dono. Questo richiede, in ogni modo, di ricordare che l’equilibrio umano è fragile, che rimane sempre qualcosa che resiste ad essere umanizzato e che in qualsiasi momento può scatenarsi nuovamente, recuperando le sue tendenze più primitive ed egoistiche.

 

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