Riconoscersi piccoli
Nel Vangelo di oggi vediamo una reazione di Gesù piuttosto insolita: si indigna. E quello che più sorprende è che la sua indignazione non è causata dai farisei che lo mettono alla prova con domande sulla liceità del divorzio, ma dai suoi discepoli che, per proteggerlo dalla ressa della gente, rimproverano alcuni bambini che vengono portati da Gesù. In altre parole, il Signore non si sdegna con chi discute con Lui, ma con chi, per sollevarlo dalla fatica, allontana da Lui i bambini. Perché? È una bella domanda: perché il Signore fa questo?
Chi cerca Dio lo trova lì, nei piccoli, nei bisognosi: bisognosi non solo di beni, ma di cura e di conforto, come i malati, gli umiliati, i prigionieri, gli immigrati, i carcerati. Lì c’è Lui: nei piccoli. Ecco perché Gesù si indigna: ogni affronto fatto a un piccolo, a un povero, a un bambino, a un indifeso, è fatto a Lui. Oggi il Signore riprende questo insegnamento e lo completa. Infatti aggiunge: «Chi non accoglie il Regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso» (Mc 10,15). Ecco la novità: il discepolo non deve solo servire i piccoli, ma riconoscersi lui stesso piccolo. E ognuno di noi, si riconosce piccolo davanti a Dio? Pensiamoci, ci aiuterà. Sapersi piccoli, sapersi bisognosi di salvezza, è indispensabile per accogliere il Signore. È il primo passo per aprirci a Lui. Spesso, però, ce ne dimentichiamo. Nella prosperità, nel benessere, abbiamo l’illusione di essere autosufficienti, di bastare a noi stessi, di non aver bisogno di Dio. Fratelli e sorelle, questo è un inganno, perché ognuno di noi è un essere bisognoso, un piccolo. Dobbiamo cercare la nostra propria piccolezza e riconoscerla. E li troveremo Gesù.
Nella vita riconoscersi piccoli è un punto di partenza per diventare grandi. Se ci pensiamo, cresciamo non tanto in base ai successi e alle cose che abbiamo, ma soprattutto nei momenti di lotta e di fragilità. Lì, nel bisogno, maturiamo; li apriamo il cuore a Dio, agli altri, al senso della vita. Apriamo gli occhi, quando siamo piccoli, al vero senso della vita. Quando ci sentiamo piccoli di fronte a un problema, piccoli di fronte a una croce, a una malattia, quando proviamo fatica e solitudine, non scoraggiamoci. Sta cadendo la maschera della superficialità e sta riemergendo la nostra radicale fragilità: è la nostra base comune, il nostro tesoro, perché con Dio le fragilità non sono ostacoli, ma opportunità.
Infatti, proprio nella fragilità scopriamo quanto Dio si prende cura di noi. Il Vangelo oggi dice che Gesù è tenerissimo con i piccoli: «Prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro» (v. 16). Le contrarietà, le situazioni che rivelano la nostra fragilità sono occasioni privilegiate per fare esperienza del suo amore. Lo sa bene chi prega con perseveranza: nei momenti bui o di solitudine, la tenerezza di Dio verso di noi si fa ancora più presente. Quando noi siamo piccoli, la tenerezza di Dio la sentiamo di più. Questa tenerezza ci dà pace, questa tenerezza ci fa crescere, perché Dio si avvicina col suo modo, che è vicinanza, compassione e tenerezza. E quando noi ci sentiamo poca cosa, cioè piccoli, il Signore si avvicina di più, lo sentiamo più vicino. Ci dà pace, ci fa crescere. Nella preghiera il Signore ci stringe a sé, come un papà col suo bambino. Così diventiamo grandi: non nell’illusoria pretesa della nostra autosufficienza ma nella fortezza di riporre nel Padre ogni speranza. Proprio come fanno i piccoli, fanno così.