RIFLESSIONE DEL PARROCO

Gli anziani
«Non gettarmi via nel tempo della vecchiaia, non abbandonarmi quando declinano le mie forze» (Sal 71,9). È il grido dell’anziano, che teme l’oblio e il disprezzo. Così come Dio ci invita ad essere suoi strumenti per ascoltare la supplica dei poveri, Egli attende anche da noi che ascoltiamo il grido degli anziani. Questo interpella le famiglie e le comunità, perché la Chiesa non può e non vuole conformarsi ad una mentalità di insofferenza, e tanto meno di indifferenza e di disprezzo, nei confronti della vecchiaia. Dobbiamo risvegliare il senso collettivo di gratitudine, di apprezzamento, di ospitalità, che facciano sentire l’anziano parte viva della sua comunità. Gli anziani sono uomini e donne, padri e madri che sono stati prima di noi sulla nostra stessa strada, nella nostra stessa casa, nella nostra quotidiana battaglia per una vita degna. Perciò, come vorrei una Chiesa che sfida la cultura dello scarto con la gioia traboccante di un nuovo abbraccio tra i giovani e gli anziani!
San Giovanni Paolo II ci ha invitato a prestare attenzione al posto dell’anziano nella famiglia, perché vi sono culture che in seguito ad un disordinato sviluppo industriale ed urbanistico, hanno condotto e continuano a condurre gli anziani a forme inaccettabili di emarginazione. Gli anziani aiutano a percepire la continuità delle generazioni, con il carisma di ricucire gli strappi. Molte volte sono i nonni che assicurano la trasmissione dei grandi valori ai loro nipoti e molte persone, possono constatare che proprio ai nonni debbono la loro iniziazione alla vita cristiana. Le loro parole, le loro carezze o la loro sola presenza aiutano i bambini a riconoscere che la storia non inizia con loro, che sono eredi di un lungo cammino e che bisogna rispettare il retroterra che ci precede. Coloro che rompono i legami con la storia avranno difficoltà a tessere relazioni stabili e a riconoscere che non sono i padroni della realtà. Dunque, l’attenzione agli anziani fa la differenza di una civiltà. In una civiltà c’è attenzione all’anziano? C’è posto per l’anziano? Questa civiltà andrà avanti se saprà rispettare la saggezza, la sapienza degli anziani.
La mancanza di memoria storica è un grave difetto della nostra società. È la mentalità immatura dell’“ormai è passato”. Conoscere e poter prendere posizione di fronte agli avvenimenti passati è l’unica possibilità di costruire un futuro che abbia senso. Non si può educare senza memoria: «Richiamate alla memoria quei primi giorni» (Eb 10,32). I racconti degli anziani fanno molto bene ai bambini e ai giovani, poiché li mettono in collegamento con la storia vissuta sia della famiglia sia del quartiere e del Paese.
Una famiglia che non rispetta e non ha cura dei suoi nonni, che sono la sua memoria viva, è una famiglia disintegrata; invece una famiglia che ricorda è una famiglia che ha futuro.
Pertanto, in una civiltà in cui non c’è posto per gli anziani o sono scartati perché creano problemi, questa società porta con sé il virus della morte, dal momento che si strappa dalle proprie radici. Il fenomeno contemporaneo del sentirsi orfani, in termini di discontinuità, sradicamento e caduta delle certezze che danno forma alla vita, ci sfida a fare delle nostre famiglie un luogo in cui i bambini possano radicarsi nel terreno di una storia collettiva.

Essere fratelli
La relazione tra i fratelli si approfondisce con il passare del tempo, il legame di fraternità che si forma in famiglia tra i figli, se avviene in un clima di educazione all’apertura agli altri, è la grande scuola di libertà e di pace. In famiglia, tra fratelli si impara la convivenza umana. Forse non sempre ne siamo consapevoli, ma è proprio la famiglia che introduce la fraternità nel mondo! A partire da questa prima esperienza di fraternità, nutrita dagli affetti e dall’educazione familiare, lo stile della fraternità si irradia come una promessa sull’intera società.
Crescere tra fratelli offre la bella esperienza di una cura reciproca, di aiutare e di essere aiutati. Perciò la fraternità in famiglia risplende in modo speciale quando vediamo la premura, la pazienza, l’affetto di cui vengono circondati: il fratellino o la sorellina più deboli, malati, o portatori di handicap. Bisogna riconoscere che avere un fratello, una sorella che ti vuole bene è un’esperienza forte, impagabile, insostituibile, però occorre insegnare con pazienza ai figli a trattarsi da fratelli. Tale tirocinio, a volte faticoso, è una vera scuola di socialità. In alcuni Paesi esiste una forte tendenza ad avere un solo figlio, per cui l’esperienza di essere fratello comincia ad essere poco comune. Nel caso in cui non sia stato possibile avere più di un figlio, si dovrà trovare il modo di far sì che il bambino non cresca solo o isolato.

 

 

 

 

RIFLESSIONE DEL PARROCO

Discernere il corpo
 In questa linea, è opportuno prendere molto sul serio un testo biblico che si è soliti interpretare fuori del suo contesto, o in una maniera molto generale, per cui si può disattendere il suo significato più immediato e diretto, che è marcatamente sociale. Si tratta di 1 Cor 11,17-34, dove San Paolo affronta una situazione vergognosa della comunità. In quel contesto alcune persone abbienti tendevano a discriminare quelle povere, e questo si verificava persino nell’incontro conviviale che accompagnava la celebrazione dell’Eucaristia. Mentre i ricchi godevano dei loro cibi prelibati, i poveri facevano da spettatori ed erano affamati: «così uno ha fame, l’altro è ubriaco. Non avete forse le vostre case per mangiare e per bere? O volete gettare il disprezzo sulla Chiesa di Dio e umiliare chi non ha niente?» (vv. 21-22).
L’Eucaristia esige l’integrazione nell’unico corpo ecclesiale. Chi si accosta al Corpo e al Sangue di Cristo non può nello stesso tempo offendere quel medesimo Corpo operando scandalose divisioni e discriminazioni tra le sue membra. Si tratta infatti di “discernere” il Corpo del Signore, di riconoscerlo con fede e carità sia nei segni sacramentali sia nella comunità, altrimenti si mangia e si beve la propria condanna (cfr v. 29). Questo testo biblico è un serio avvertimento per le famiglie che si richiudono nella loro propria comodità e si isolano, ma più specificamente per le famiglie che restano indifferenti davanti alle sofferenze delle famiglie povere e più bisognose.
La celebrazione eucaristica diventa così un costante appello rivolto a ciascuno perché «esamini sé stesso» (v. 28), al fine di aprire le porte della propria famiglia ad una maggior comunione con coloro che sono scartati dalla società e dunque, ricevere davvero il Sacramento dell’amore eucaristico che fa di noi un solo corpo. Non bisogna dimenticare che la “mistica” del Sacramento ha un carattere sociale. Quando coloro che si comunicano, non accettano di lasciarsi spingere verso un impegno con i poveri e i sofferenti o acconsentono a diverse forme di divisione, di disprezzo e di ingiustizia, l’Eucaristia è ricevuta indegnamente. Invece, le famiglie che si nutrono dell’Eucaristia con la giusta disposizione, rafforzano il loro desiderio di fraternità, il loro senso sociale e il loro impegno con i bisognosi.

RIFLESSIONE DEL PARROCO

Di fatto, le madri sono l’antidoto più forte al dilagare dell’individualismo egoistico. [] Sono esse a testimoniare la bellezza della vita. Senza dubbio, una società senza madri sarebbe una società disumana, perché le madri sanno testimoniare sempre, anche nei momenti peggiori, la tenerezza, la dedizione, la forza morale. Le madri trasmettono spesso anche il senso più profondo della pratica religiosa: nelle prime preghiere, nei primi gesti di devozione che un bambino impara []. Senza le madri, non solo non ci sarebbero nuovi fedeli, ma la fede perderebbe buona parte del suo calore semplice e profondo. [] Carissime mamme, grazie, grazie per ciò che siete nella famiglia e per ciò che date alla Chiesa e al mondo.
La madre, che protegge il bambino con la sua tenerezza e la sua compassione, lo aiuta a far emergere la fiducia, a sperimentare che il mondo è un luogo buono che lo accoglie, e questo permette di sviluppare un’autostima che favorisce la capacità di intimità e l’empatia. La figura paterna, d’altra parte, aiuta a percepire i limiti della realtà e si caratterizza maggiormente per l’orientamento, per l’uscita verso il mondo più ampio e ricco di sfide, per l’invito allo sforzo e alla lotta. Un padre con una chiara e felice identità maschile, che a sua volta unisca nel suo tratto verso la moglie l’affetto e l’accoglienza, è tanto necessario quanto le cure materne. Vi sono ruoli e compiti flessibili, che si adattano alle circostanze concrete di ogni famiglia, ma la presenza chiara e ben definita delle due figure, femminile e maschile, crea l’ambiente più adatto alla maturazione del bambino.
Si dice che la nostra società è una “società senza padri”. Nella cultura occidentale, la figura del padre sarebbe simbolicamente assente, distorta, sbiadita. Persino la virilità sembrerebbe messa in discussione. Si è verificata una comprensibile confusione, perché in un primo momento, la cosa è stata percepita come una liberazione: liberazione dal padre-padrone, dal padre come rappresentante della legge che si impone dall’esterno, dal padre come censore della felicità dei figli e ostacolo all’emancipazione e all’autonomia dei giovani. Talvolta in alcune case regnava in passato l’autoritarismo, in certi casi addirittura la sopraffazione. Tuttavia, come spesso avviene, si passa da un estremo all’altro. Il problema dei nostri giorni non sembra essere più tanto la presenza invadente dei padri, quanto piuttosto la loro assenza, la loro latitanza. I padri sono talora così concentrati su sé stessi e sul proprio lavoro e alle volte sulle proprie realizzazioni individuali, da dimenticare anche la famiglia: e lasciano soli i piccoli e i giovani. La presenza paterna, e pertanto la sua autorità, risulta intaccata anche dal tempo sempre maggiore che si dedica ai mezzi di comunicazione e alla tecnologia dello svago. Inoltre oggi, l’autorità è vista con sospetto e gli adulti sono duramente messi in discussione. Loro stessi abbandonano le certezze e perciò non offrono ai figli orientamenti sicuri e ben fondati. Non è sano che si scambino i ruoli tra genitori e figli: ciò danneggia l’adeguato processo di maturazione che i bambini hanno bisogno di compiere e nega loro un amore capace di orientarli e che li aiuti a maturare.
Dio pone il padre nella famiglia perché, con le preziose caratteristiche della sua mascolinità, sia vicino alla moglie, per condividere tutto, gioie e dolori, fatiche e speranze. E [perché] sia vicino ai figli nella loro crescita: quando giocano e quando si impegnano, quando sono spensierati e quando sono angosciati, quando si esprimono e quando sono taciturni, quando osano e quando hanno paura, quando fanno un passo sbagliato e quando ritrovano la strada; padre presente, sempre.
Dire presente non è lo stesso che dire controllore. Perché i padri troppo controllori annullano i figli. Alcuni padri si sentono inutili o non necessari, ma la verità è che i figli hanno bisogno di trovare un padre che li aspetta quando ritornano dai loro fallimenti. Faranno di tutto per non ammetterlo, per non darlo a vedere, ma ne hanno bisogno. Non è bene che i bambini rimangano senza padri e così smettano di essere bambini prima del tempo.

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L’amore nell’attesa propria della gravidanza
La gravidanza è un periodo difficile, ma anche un tempo meraviglioso. La madre collabora con Dio perché si produca il miracolo di una nuova vita. La maternità proviene da una particolare potenzialità dell’organismo femminile, che con peculiarità creatrice serve al concepimento e alla generazione dell’essere umano.
Ogni donna partecipa del mistero della creazione, che si rinnova nella generazione umana. Come dice il Salmo: «Mi hai tessuto nel grembo di mia madre» (139,13). Ogni bambino che si forma all’interno di sua madre è un progetto eterno di Dio
Padre e del suo amore eterno: Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato (Ger 1,5).
Ogni bambino sta da sempre nel cuore di Dio, e nel momento in cui viene concepito si compie il sogno eterno del Creatore. Pensiamo quanto vale l’embrione dall’istante in cui è concepito! Bisogna guardarlo con lo stesso sguardo d’amore del Padre, che vede oltre ogni apparenza. La donna in gravidanza può partecipare a tale progetto di Dio sognando suo figlio: tutte le mamme e tutti i papà hanno sognato il loro figlio per nove mesi. […] Non è possibile una famiglia senza il sogno. Quando in una famiglia si perde la capacità di sognare, i bambini non crescono e l’amore non cresce, la vita si affievolisce e si spegne. All’interno di questo sogno, per una coppia di coniugi cristiani, appare necessariamente il Battesimo. I genitori lo preparano con la loro preghiera, affidando il figlio a Gesù già prima della sua nascita.
Con i progressi delle scienze oggi si può sapere in anticipo che colore avrà i capelli il bambino e di quali malattie potrà soffrire in futuro, perché tutte le caratteristiche somatiche di quella persona sono inscritte nel suo codice genetico già nello stadio embrionale. Ma solo il Padre che lo ha creato lo conosce pienamente. Solo Lui conosce ciò che è più prezioso, ciò che è più importante, perché Egli sa chi è quel bambino, qual è la sua identità più profonda. La madre che lo porta nel suo grembo, ha bisogno di chiedere luce a Dio per poter conoscere in profondità il proprio figlio e per attenderlo veramente. Alcuni genitori sentono che il loro figlio non arriva nel momento migliore. Hanno bisogno di chiedere al Signore che li guarisca e li fortifichi per accettare pienamente quel figlio, per poterlo attendere con il cuore. È importante che quel bambino si senta atteso. Egli non è un complemento o una soluzione per un’aspirazione personale. È un essere umano, con un valore immenso e non può venire usato per il proprio beneficio. Dunque, non è importante se questa nuova vita ti servirà o no, se possiede caratteristiche che ti piacciono o no, se risponde o no ai tuoi progetti e ai tuoi sogni. Perché i figli sono un dono. Ciascuno è unico e irripetibile […]. Un figlio lo si ama perché è figlio: non perché è bello, o perché è così o cosa; no, perché è figlio! Non perché la pensa come me, o incarna i miei desideri. Un figlio è un figlio. L’amore dei genitori è strumento dell’amore di Dio Padre che attende con tenerezza la nascita di ogni bambino, lo accetta senza condizioni e lo accoglie gratuitamente.
Ad ogni donna in gravidanza desidero chiedere con affetto: abbi cura della tua gioia, che nulla ti tolga la gioia interiore della maternità. Quel bambino merita la tua gioia. Non permettere che le paure, le preoccupazioni, i commenti altrui o i problemi spengano la felicità di essere strumento di Dio per portare al mondo una nuova vita. Occupati di quello che c’è da fare o preparare, ma senza ossessionarti, e loda come Maria: «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva» (Lc 1,46-48). Vivi con sereno entusiasmo in mezzo ai tuoi disagi, e prega il Signore che custodisca la tua gioia perché tu possa trasmetterla al tuo bambino.

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La trasformazione dell’amore
Il prolungarsi della vita fa sì che si verifichi qualcosa che non era comune in altri tempi: la relazione intima e la reciproca appartenenza, devono conservarsi per quattro, cinque o sei decenni e questo comporta la necessità di ritornare a scegliersi a più riprese. Forse il coniuge non è più attratto da un desiderio sessuale intenso che lo muova verso l’altra persona, però sente il piacere di appartenerle e che essa gli appartenga, di sapere che non è solo, di aver un “complice” che conosce tutto della sua vita e della sua storia e che condivide tutto. È il compagno nel cammino della vita con cui si possono affrontare le difficoltà e godere le cose belle. Anche questo genera una soddisfazione che accompagna il desiderio proprio dell’amore coniugale. Non possiamo prometterci di avere gli stessi sentimenti per tutta la vita. Ma possiamo certamente avere un progetto comune stabile, impegnarci ad amarci e a vivere uniti finché la morte non ci separi, e vivere sempre una ricca intimità. L’amore che ci promettiamo supera ogni emozione, sentimento o stato d’animo, sebbene possa includerli. È un voler bene più profondo, con una decisione del cuore che coinvolge tutta l’esistenza. Così, in mezzo ad un conflitto non risolto, e benché molti sentimenti confusi si aggirino nel cuore, si mantiene viva ogni giorno la decisione di amare, di appartenersi, di condividere la vita intera e di continuare ad amarsi e perdonarsi. Ciascuno dei due, compie un cammino di crescita e di cambiamento personale. Nel corso di tale cammino, l’amore celebra ogni passo e ogni nuova tappa.
Nella storia di un matrimonio, l’aspetto fisico muta, ma questo non è un motivo perché l’attrazione amorosa venga meno. Ci si innamora di una persona intera con una identità propria, non solo di un corpo, sebbene tale corpo, al di là del logorio del tempo, non finisca mai di esprimere in qualche modo quell’identità personale che ha conquistato il cuore. Quando gli altri non possono più riconoscere la bellezza di tale identità, il coniuge innamorato continua ad essere capace di percepirla con l’istinto dell’amore e l’affetto non scompare. Riafferma la sua decisione di appartenere ad essa, la sceglie nuovamente ed esprime tale scelta attraverso una vicinanza fedele e colma di tenerezza. La nobiltà della sua decisione per essa, essendo intensa e profonda, risveglia una nuova forma di emozione nel compimento della missione coniugale. Perché l’emozione provocata da un altro essere umano come persona [], non tende di per sé all’atto coniugale. Acquisisce altre espressioni sensibili perché l’amore è un’unica realtà, seppur con diverse dimensioni; di volta in volta, l’una o l’altra dimensione può emergere maggiormente.
Il vincolo trova nuove modalità ed esige la decisione di riprendere sempre nuovamente a stabilirlo. Non solo però per conservarlo, ma per farlo crescere. È il cammino di costruirsi giorno per giorno. Ma nulla di questo è possibile se non si invoca lo Spirito Santo, se non si grida ogni giorno chiedendo la sua grazia, se non si cerca la sua forza soprannaturale, se non gli si richiede ansiosamente che effonda il suo fuoco sopra il nostro amore per rafforzarlo, orientarlo e trasformarlo in ogni nuova situazione.

 

 

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Violenza e manipolazione
Nel contesto di questa visione positiva della sessualità, è opportuno impostare il tema nella sua integrità e con un sano realismo. Infatti non possiamo ignorare che molte volte la sessualità si spersonalizza ed anche si colma di patologie, in modo tale che diventi sempre più occasione e strumento di affermazione del proprio io e di soddisfazione egoistica dei propri desideri e istinti. In questa epoca, diventa alto il rischio che anche la sessualità sia dominata dallo spirito velenoso dell’“usa e getta”. Il corpo dell’altro, è spesso manipolato come una cosa da tenere finché offre soddisfazione e da disprezzare quando perde attrattiva. Si possono forse ignorare o dissimulare le costanti forme di dominio, prepotenza, abuso, perversione e violenza sessuale, che sono frutto di una distorsione del significato della sessualità, che seppelliscono la dignità degli altri e l’appello all’amore sotto un’oscura ricerca di sé stessi?
Non è superfluo ricordare che anche nel matrimonio la sessualità può diventare fonte di sofferenza e di manipolazione. Per questo, dobbiamo ribadire con chiarezza che, un atto coniugale imposto al coniuge senza nessun riguardo alle sue condizioni ed ai suoi giusti desideri, non è un vero atto di amore e nega pertanto un’esigenza del retto ordine morale nei rapporti tra gli sposi. Gli atti propri dell’unione sessuale dei coniugi, rispondono alla natura della sessualità voluta da Dio se sono compiuti in modo veramente umano. Per questo san Paolo esortava: «Che nessuno in questo campo offenda o inganni il proprio fratello» (1 Ts 4,6). Sebbene Egli scrivesse in un’epoca in cui dominava una cultura patriarcale, nella quale la donna era considerata un essere completamente subordinato all’uomo, tuttavia insegnò che la sessualità dev’essere una questione da trattare tra i coniugi: prospettò la possibilità di rimandare i rapporti sessuali per un certo periodo, però «di comune accordo» (1 Cor 7,5).
San Giovanni Paolo II, ha dato un avvertimento molto sottile quando ha affermato che l’uomo e la donna sono minacciati dall’insaziabilità. Vale a dire che sono chiamati ad un’unione sempre più intensa, ma il rischio sta nel pretendere di cancellare le differenze e quell’inevitabile distanza che vi è tra i due, perché ciascuno possiede una dignità propria e irripetibile. Quando la preziosa appartenenza reciproca si trasforma in dominio, cambia [] essenzialmente la struttura di comunione nella relazione interpersonale. Nella logica del dominio, anche chi domina finisce per negare la propria dignità e in definitiva cessa di identificarsi soggettivamente con il proprio corpo, dal momento che lo priva di ogni significato.
Vive il sesso come evasione da sé stesso e come rinuncia alla bellezza dell’unione.
È importante essere chiari nel rifiuto di qualsiasi forma di sottomissione sessuale. Perciò, è opportuno evitare ogni interpretazione inadeguata del testo della Lettera agli Efesini, dove si chiede che «le mogli siano [sottomesse] ai loro mariti» (Ef 5,22). San Paolo, qui si esprime in categorie culturali proprie di quell’epoca, ma noi non dobbiamo assumere tale rivestimento culturale, bensì il messaggio rivelato che soggiace all’insieme della pericope. Riprendiamo la sapiente spiegazione di san Giovanni Paolo II: L’amore esclude ogni genere di sottomissione, per cui la moglie diverrebbe serva o schiava del marito []. La comunità o unità che essi debbono costituire a motivo del matrimonio, si realizza attraverso una reciproca donazione, che è anche una sottomissione vicendevole.
Per questo si dice anche che «i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo» (Ef 5,28). In realtà il testo biblico invita a superare il comodo individualismo per vivere rivolti agli altri: «Siate sottomessi gli uni agli altri» (Ef 5,21). Tra i coniugi questa reciproca “sottomissione”, acquisisce un significato speciale e si intende come un’appartenenza reciproca liberamente scelta, con un insieme di caratteristiche di fedeltà, rispetto e cura. La sessualità è in modo inseparabile al servizio di tale amicizia coniugale, perché si orienta a fare in modo che l’altro viva in pienezza.
Tuttavia, il rifiuto delle distorsioni della sessualità e dell’erotismo, non dovrebbe mai condurci a disprezzarli o a trascurarli. L’ideale del matrimonio, non si può configurare solo come una donazione generosa e sacrificata, dove ciascuno rinuncia ad ogni necessità personale e si preoccupa soltanto di fare il bene dell’altro senza alcuna soddisfazione. Ricordiamo che un vero amore sa anche ricevere dall’altro, è capace di accettarsi come vulnerabile e bisognoso, non rinuncia ad accogliere con sincera e felice gratitudine le espressioni corporali dell’amore nella carezza, nell’abbraccio, nel bacio e nell’unione sessuale.
Benedetto XVI, fu chiaro a tale proposito: Se l’uomo ambisce di essere solamente spirito e vuol rifiutare la carne come un’eredità soltanto animalesca, allora spirito e corpo perdono la loro dignità. Per questa ragione, l’uomo non può neanche vivere esclusivamente nell’amore oblativo, discendente. Non può sempre soltanto donare, deve anche ricevere. Chi vuol donare amore, deve egli stesso riceverlo in dono. Questo richiede, in ogni modo, di ricordare che l’equilibrio umano è fragile, che rimane sempre qualcosa che resiste ad essere umanizzato e che in qualsiasi momento può scatenarsi nuovamente, recuperando le sue tendenze più primitive ed egoistiche.

 

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Amore appassionato
Il Concilio Vaticano II ha insegnato che questo amore coniugale abbraccia il bene di tutta la persona; perciò ha la possibilità di arricchire di particolare dignità le espressioni del corpo, della vita psichica e di nobilitarle come elementi e segni speciali dell’amicizia coniugale. Ci deve essere qualche ragione per il fatto che un amore senza piacere né passione, non è sufficiente a simboleggiare l’unione del cuore umano con Dio: Tutti i mistici hanno affermato che l’amore soprannaturale e l’amore celeste trovano i simboli di cui vanno alla ricerca nell’amore matrimoniale, più che nell’amicizia, più che nel sentimento filiale o nella dedizione a una causa. E il motivo risiede giustamente nella sua totalità.

 Perché allora non soffermarci a parlare dei sentimenti e della sessualità nel
matrimonio?

 Il mondo delle emozioni
Desideri, sentimenti, emozioni, quello che i classici chiamavano “passioni”, occupano un posto importante nel matrimonio. Si generano quando un “altro” si fa presente e si manifesta nella propria vita. È proprio di ogni essere vivente tendere verso un’altra realtà, e questa tendenza presenta sempre segni affettivi basilari: il piacere o il dolore, la gioia o la pena, la tenerezza o il timore. Sono il presupposto dell’attività psicologica più elementare. L’essere umano è un vivente di questa terra, tutto quello che fa e cerca è carico di passioni.
Provare un’emozione, non è qualcosa di moralmente buono o cattivo per sé stesso. Cominciare a provare desiderio o rifiuto non è peccaminoso né riprovevole. Quello che è bene o male, è l’atto che uno compie spinto o accompagnato da una passione. Ma se i sentimenti sono alimentati, ricercati e a causa di essi commettiamo cattive azioni, il male sta nella decisione di alimentarli e negli atti cattivi che ne conseguono. Sulla stessa linea, provare piacere per qualcuno non è di per sé un bene.
Se con tale piacere io faccio in modo che quella persona diventi mia schiava, il sentimento sarà al servizio del mio egoismo. Credere che siamo buoni solo perché “proviamo dei sentimenti” è un tremendo inganno.
Ci sono persone che si sentono capaci di un grande amore solo perché hanno una grande necessità di affetto, però non sono in grado di lottare per la felicità degli altri e vivono rinchiusi nei propri desideri. In tal caso, i sentimenti distolgono dai grandi valori e nascondono un egocentrismo che non rende possibile coltivare una vita in famiglia sana e felice.
D’altro canto, se una passione accompagna l’atto libero, può manifestare la profondità di quella scelta. L’amore matrimoniale, porta a fare in modo che tutta la vita emotiva diventi un bene per la famiglia e sia al servizio della vita in comune.
La maturità giunge in una famiglia quando la vita emotiva dei suoi membri si trasforma in una sensibilità che non domina né oscura le grandi opzioni e i valori ma che asseconda la loro libertà, sorge da essa, la arricchisce, la abbellisce e la rende più armoniosa per il bene di tutti.

Io, come agisco nella mia famiglia?

 

RIFLESSIONE DEL PARROCO

Il dialogo
Il dialogo è una modalità privilegiata e indispensabile per vivere, esprimere e maturare l’amore nella vita coniugale e familiare. Ma richiede un lungo e impegnativo tirocinio. Uomini e donne, adulti e giovani, hanno modi diversi di comunicare, usano linguaggi differenti, si muovono con altri codici. Il modo di fare domande, la modalità delle risposte, il tono utilizzato, il momento e molti altri fattori possono condizionare la comunicazione. Inoltre, è sempre necessario sviluppare alcuni atteggiamenti che sono espressione di amore e rendono possibile il dialogo autentico. Darsi tempo, tempo di qualità, che consiste nell’ascoltare con pazienza e attenzione, finché l’altro abbia espresso tutto quello che aveva bisogno di esprimere. Questo richiede l’ascesi di non incominciare a parlare prima del momento adatto. Invece di iniziare ad offrire opinioni o consigli, bisogna assicurarsi di aver ascoltato tutto quello che l’altro ha la necessità di dire. Questo implica fare silenzio interiore per ascoltare senza rumori nel cuore e nella mente: spogliarsi di ogni fretta, mettere da parte le proprie necessità e urgenze, fare spazio. Molte volte uno dei coniugi non ha bisogno di una soluzione ai suoi problemi ma di essere ascoltato. Deve percepire che è stata colta la sua pena, la sua delusione, la sua paura, la sua ira, la sua speranza, il suo sogno. Tuttavia sono frequenti queste lamentele: “Non mi ascolta. Quando sembra che lo stia facendo, in realtà sta pensando ad un’altra cosa”. “Parlo e sento che sta aspettando che finisca una buona volta”. “Quando parlo tenta di cambiare argomento, o mi dà risposte rapide per chiudere la conversazione”. Sviluppare l’abitudine di dare importanza reale all’altro. Si tratta di dare valore alla sua persona, di riconoscere che ha il diritto di esistere, a pensare in maniera autonoma e ad essere felice. Non bisogna mai sottovalutare quello che può dire o reclamare, benché sia necessario esprimere il proprio punto di vista. È qui sottesa la convinzione secondo la quale tutti hanno un contributo da offrire, perché hanno un’altra esperienza della vita, perché guardano le cose da un altro punto di vista, perché hanno maturato altre preoccupazioni e hanno altre abilità e intuizioni.

 

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Amore che si manifesta e cresce
L’amore di amicizia unifica tutti gli aspetti della vita matrimoniale e aiuta i membri della famiglia ad andare avanti in tutte le sue fasi. Perciò i gesti che esprimono tale amore devono essere costantemente coltivati, senza avarizia, ricchi di parole generose. Nella famiglia è necessario usare tre parole. Tre parole: permesso, grazie, scusa. Tre parole chiave! Quando in una famiglia non si è invadenti e si chiede “permesso”, quando in una famiglia non si è egoisti e si impara a dire “grazie” e quando in una famiglia uno si accorge che ha fatto una cosa brutta e sa chiedere “scusa”, in quella famiglia c’è pace e c’è gioia. Non siamo avari nell’utilizzare queste parole, siamo generosi nel ripeterle giorno dopo giorno, perché alcuni silenzi pesano, a volte anche in famiglia, tra marito e moglie, tra padri e figli, tra fratelli. Invece le parole adatte, dette al momento giusto, proteggono e alimentano l’amore giorno dopo giorno. L’amore matrimoniale non si custodisce prima di tutto parlando dell’indissolubilità come di un obbligo, o ripetendo una dottrina, ma fortificandolo grazie ad una crescita costante sotto l’impulso della grazia. L’amore che non cresce inizia a correre rischi, e possiamo crescere soltanto corrispondendo alla grazia divina mediante più atti di amore, con atti di affetto più frequenti, più intensi, più generosi, più teneri, più allegri. Il dono dell’amore divino che si effonde sugli sposi è al tempo stesso un appello ad un costante sviluppo di questo regalo della grazia.
È più sano accettare con realismo i limiti, le sfide e le imperfezioni, e dare ascolto all’appello a crescere uniti, a far maturare l’amore e a coltivare la solidità dell’unione, accada quel che accada.

 

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Crescere nella carità coniugale
L’inno di san Paolo, che abbiamo percorso, ci permette di passare alla carità coniugale. Essa è l’amore che unisce gli sposi, santificato, arricchito e illuminato dalla grazia del sacramento del matrimonio. È «un’unione affettiva», spirituale e oblativa, che però raccoglie in sé la tenerezza dell’amicizia e la passione erotica, benché sia in grado di sussistere anche quando i sentimenti e la passione si indeboliscono. Tale amore forte, versato dallo Spirito Santo, è il riflesso dell’Alleanza indistruttibile tra Cristo e l’umanità, culminata nella dedizione sino alla fine, sulla croce. Lo Spirito, che il Signore effonde, dona il cuore nuovo e rende l’uomo e la donna capaci di amarsi come Cristo ci ha amato. L’amore coniugale raggiunge quella pienezza a cui è interiormente ordinato, la carità coniugale.
Il matrimonio è un segno prezioso, perché quando un uomo e una donna celebrano il sacramento del Matrimonio, Dio, per così dire, si “rispecchia” in essi, imprime in loro i propri lineamenti e il carattere indelebile del suo amore. Il matrimonio è l’icona dell’amore di Dio per noi. Anche Dio, infatti, è comunione: le tre Persone del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo vivono da sempre e per sempre in unità perfetta. Ed è proprio questo il mistero del Matrimonio: Dio fa dei due sposi una sola esistenza. Questo comporta conseguenze molto concrete e quotidiane, perché gli sposi, in forza del Sacramento, vengono investiti di una vera e propria missione, perché possano rendere visibile, a partire dalle cose semplici, ordinarie, l’amore con cui Cristo ama la sua Chiesa, continuando a donare la vita per lei.
Tuttavia, non è bene confondere piani differenti: non si deve gettare sopra due persone limitate, il tremendo peso di dover riprodurre in maniera perfetta l’unione che esiste tra Cristo e la sua Chiesa, perché il matrimonio come segno implica un processo dinamico, che avanza gradualmente con la progressiva integrazione dei doni di Dio.

Tutta la vita, tutto in comune
Dopo l’amore che ci unisce a Dio, l’amore coniugale è la «più grande amicizia». E’ un’unione che possiede tutte le caratteristiche di una buona amicizia: ricerca del bene dell’altro, reciprocità, intimità, tenerezza, stabilità, e una somiglianza tra gli amici che si va costruendo con la vita condivisa. Però il matrimonio aggiunge a tutto questo un’esclusività indissolubile, che si esprime nel progetto stabile di condividere e costruire insieme tutta l’esistenza. Siamo sinceri e riconosciamo i segni della realtà: chi è innamorato non progetta che tale relazione possa essere solo per un periodo di tempo, chi vive intensamente la gioia di sposarsi non pensa a qualcosa di passeggero; coloro che accompagnano la celebrazione di un’unione piena d’amore, anche se fragile, sperano che possa durare nel tempo; i figli non solo desiderano  che i loro genitori si amino, ma anche che siano fedeli e rimangano sempre uniti.
Questi e altri segni mostrano che nella stessa natura dell’amore matrimoniale per sempre, è più che una formalità sociale o una tradizione, perché si coniugale vi è l’apertura al definitivo. L’unione che si cristallizza nella promessa radica nelle inclinazioni spontanee della persona umana; e, per i credenti, è un’alleanza davanti a Dio che esige fedeltà: «Il Signore è testimone fra te e la donna della tua giovinezza, che hai tradito, mentre era la tua compagna, la donna legata a te da un patto: […] nessuno tradisca la donna della sua giovinezza. Perché io detesto il ripudio (Ml 2,14.15.16).
Un amore debole o malato, incapace di accettare il matrimonio come una sfida che richiede di lottare, di rinascere, di reinventarsi e ricominciare sempre di nuovo fino alla morte, non è in grado di sostenere un livello alto di impegno. Cede alla cultura del provvisorio, che impedisce un processo costante di crescita. Però «promettere un amore che sia per sempre è possibile quando si scopre un disegno più grande dei propri progetti, che ci sostiene e ci permette di donare l’intero futuro alla persona amata».
Un amore debole o malato, incapace di accettare il matrimonio come una sfida che richiede di lottare, di rinascere, di reinventarsi e ricominciare sempre di nuovo fino alla morte, non è in grado di sostenere un livello alto di impegno. Cede alla cultura del provvisorio, che impedisce un processo costante di crescita. Però «promettere un amore che sia per sempre è possibile quando si scopre un disegno più grande dei propri progetti, che ci sostiene e ci permette di donare l’intero futuro alla persona amata».
Perché tale amore possa attraversare tutte le prove e mantenersi fedele nonostante tutto, si richiede il dono della grazia che lo fortifichi e lo elevi.
Il matrimonio, inoltre, è un’amicizia che comprende le note proprie della passione, ma sempre orientata verso un’unione via via più stabile e intensa. Perché «non è stato istituito soltanto per la procreazione», ma affinché l’amore reciproco abbia le sue giuste manifestazioni, si sviluppi e arrivi a maturità. Questa peculiare amicizia tra un uomo e una donna acquista un carattere totalizzante che si dà unicamente nell’unione coniugale. Proprio perché è totalizzante questa unione è anche esclusiva, fedele e aperta alla generazione. Si condivide ogni cosa, compresa la sessualità, sempre nel reciproco rispetto. Il Concilio Vaticano II lo ha affermato dicendo che un tale amore, unendo assieme valori umani e divini, conduce gli sposi al libero e mutuo dono di sé stessi, che si esprime mediante sentimenti e gesti di tenerezza e pervade tutta quanta la vita dei coniugi.

Come vivo il mio amore? Riesco a reinventarmi, a rinascere?