RIFLESSIONE DEL PARROCO

I due aspetti che approfondiremo questa volta possono veramente migliorare la vita di famiglia.
Tutto scusa
      L’elenco si completa con quattro espressioni che parlano di una totalità: “tutto”. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. In questo modo, si sottolinea con forza il dinamismo contro-culturale dell’amore, capace di far fronte a qualsiasi cosa lo possa minacciare.
In primo luogo si afferma che “tutto scusa” si differenzia da “non tiene conto del male”, perché questo termine a che vedere con l’uso della lingua; può significare “mantenere il silenzio” che può esserci nell’altra persona. Implica limitare il giudizio, contenere l’inclinazione a lanciare una condanna dura e implacabile. «Non condannate e non sarete condannati» (Lc 6,37). Benché vada contro il nostro uso abituale della lingua, la Parola di Dio ci chiede: «Non sparlate gli uni degli altri, fratelli» (Gc 4,11). Soffermarsi a danneggiare l’immagine dell’altro è un modo per rafforzare la propria, per scaricare i rancori e le invidie senza far caso al danno che causiamo. Molte volte ci si dimentica che la diffamazione può essere un grande peccato, una seria offesa a Dio, quando colpisce gravemente la buona fama degli altri, procurando loro dei danni molto difficili da riparare. Per questo la Parola di Dio è così dura con la lingua, dicendo che è «il mondo del male» che «contagia tutto il corpo e incendia tutta la nostra vita» (Gc 3,6), «è un male ribelle, è piena di veleno mortale» (Gc 3,8). Se «con essa malediciamo gli uomini fatti a somiglianza di Dio» (Gc 3,9), l’amore si prende cura dell’immagine degli altri, con una delicatezza che porta a preservare persino la buona fama dei nemici. Nel difendere la legge divina non bisogna mai dimenticare questa esigenza dell’amore.
Gli sposi che si amano e si appartengono, parlano bene l’uno dell’altro, cercano di mostrare il lato buono del coniuge al di là delle sue debolezze e dei suoi errori. In ogni caso, mantengono il silenzio per non danneggiarne l’immagine. Però non è soltanto un gesto esterno, ma deriva da un atteggiamento interiore. Non è neppure l’ingenuità di chi pretende di non vedere le difficoltà e i punti deboli dell’altro, bensì è l’ampiezza dello sguardo di chi colloca quelle debolezze e quei sbagli nel loro contesto. Ricorda che tali difetti sono solo una parte, non sono la totalità dell’essere dell’altro. Un fatto sgradevole nella relazione non è la totalità di quella relazione. Dunque si può accettare con semplicità che tutti siamo una complessa combinazione di luci e ombre. L’altro non è soltanto quello che a me dà fastidio. È molto più di questo. Per la stessa ragione, non pretendo che il suo amore sia perfetto per apprezzarlo. Mi ama come è e come può, con i suoi limiti, ma il fatto che il suo amore sia imperfetto non significa che sia falso o che non sia reale. È reale, ma limitato e terreno. Perciò, se pretendo troppo, in qualche modo me lo farà capire, dal momento che né potrà né accetterà di giocare il ruolo di un essere divino, né di stare al servizio di tutte le mie necessità. L’amore convive con l’imperfezione, la scusa e sa stare in silenzio davanti ai limiti della persona amata.

Noi amiamo così?

Ha fiducia
  “Tutto crede”. Con questo contesto, non si deve intendere questa “fede” in senso teologico, bensì in quello corrente di “fiducia”. Non si tratta soltanto di non sospettare che l’altro stia mentendo o ingannando. Tale fiducia fondamentale riconosce la luce accesa da Dio che si nasconde dietro l’oscurità o la brace che arde ancora sotto le ceneri.
Questa stessa fiducia rende possibile una relazione di libertà. Non c’è bisogno di controllare l’altro, di seguire minuziosamente i suoi passi, per evitare che sfugga dalle nostre braccia. L’amore ha fiducia, lascia in libertà, rinuncia a controllare tutto, a possedere, a dominare. Questa libertà, che rende possibili spazi di autonomia, apertura al mondo e nuove esperienze, permette che la relazione si arricchisca e non diventi una endogamia senza orizzonti. In tal modo i coniugi, ritrovandosi, possono vivere la gioia di condividere quello che hanno ricevuto e imparato al di fuori del cerchio familiare.
Nello stesso tempo rende possibili la sincerità e la trasparenza, perché quando uno sa che gli altri confidano in lui e ne apprezzano la bontà di fondo, allora si mostra com’è senza occultamenti. Uno che sa che sospettano sempre di lui, che lo giudicano senza compassione, che non lo amano in modo incondizionato, preferirà mantenere i suoi segreti, nascondere le sue cadute e debolezze, fingersi quello che non è. Viceversa, una famiglia in cui regna una solida e affettuosa fiducia, e dove si torna sempre ad avere fiducia nonostante tutto, permette che emerga la vera identità dei suoi membri e fa sì che spontaneamente si rifiuti l’inganno, la falsità e la menzogna.

Mi confronto con mio marito/mia moglie su questo argomento?
Lascio libero l’altro? Vivo nella sincerità e trasparenza?

 

RIFLESSIONE DEL PARROCO

Vi invito a riflettere su un altro aspetto della vita di famiglia che ci fa’ stare molto bene.
Rallegrarsi con gli altri
L’espressione chairei epi te adikia indica qualcosa di negativo insediato nel segreto del cuore della persona. È l’atteggiamento velenoso di chi si rallegra quando vede che si commette ingiustizia verso qualcuno. La frase si completa con quella che si esprime in modo positivo: synchairei te aletheia: si compiace della verità. Vale a dire, si rallegra per il bene dell’altro, quando viene riconosciuta la sua dignità, quando si apprezzano le sue capacità e le sue buone opere. Questo è impossibile per chi deve sempre paragonarsi e competere, anche con il proprio coniuge, fino al punto di rallegrarsi segretamente per i suoi fallimenti. Quando una persona ama può fare del bene a un altro, o quando vede che all’altro le cose vanno bene, lo vive con gioia e in quel modo dà gloria a Dio, perché «Dio ama chi dona con gioia» (2 Cor 9,7). Nostro Signore apprezza in modo speciale chi si rallegra della felicità dell’altro. Se non alimentiamo la nostra capacità di godere del bene dell’altro e ci concentriamo soprattutto sulle nostre necessità, ci condanniamo a vivere con poca gioia, dal momento che, come ha detto Gesù, «si è più beati nel dare che nel ricevere!» (At 20,35). La famiglia dev’essere sempre il luogo in cui chiunque fa qualcosa di buono nella vita, sa che lì lo festeggeranno insieme a lui. Cerchiamo di incoraggiare il bene fatto da tutti. Rallegriamoci non solo per quello che facciamo noi di buono ma per tutto quello che vediamo di buono e di bello.

Abbiamo gli occhi per vederlo?

RIFLESSIONE DEL PARROCO

Vi invito a riflettere su altri due aspetti importanti della famiglia.
Distacco generoso
Abbiamo detto molte volte che per amare gli altri occorre prima amare sé stessi. Tuttavia, questo inno all’amore afferma che l’amore “non cerca il proprio interesse”, o che “non cerca quello che è suo”. Questa espressione si usa pure in un altro testo: «Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri» (Fil 2,4). Davanti ad un’affermazione così chiara delle Scritture, bisogna evitare di attribuire priorità all’amore per sé stessi come se fosse più nobile del dono di sé stessi agli altri. Una certa priorità dell’amore per sé stessi può intendersi solamente come una condizione psicologica, in quanto chi è incapace di amare sé stesso incontra difficoltà ad amare gli altri: «Chi è cattivo con sé stesso con chi sarà buono? […] Nessuno è peggiore di chi danneggia sé stesso» (Sir 14,5-6).
Però lo stesso Tommaso d’Aquino ha spiegato che «è più proprio della carità voler amare che voler essere amati» e che, in effetti, «le madri, che sono quelle che amano di più, cercano più di amare che di essere amate». Perciò l’amore può spingersi oltre la giustizia e straripare gratuitamente, «senza sperarne nulla» (Lc 6,35), fino ad arrivare all’amore più grande, che è «dare la vita» per gli altri (Gv 15,13). È ancora possibile questa generosità che permette di donare gratuitamente, e di donare sino alla fine? Sicuramente è possibile, perché è ciò che chiede il Vangelo: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,8).

Ci lasciamo amare dalle persone che vivono con noi oppure vogliamo solo dare amore?

 Senza violenza interiore
Se la prima espressione dell’inno ci invitava alla pazienza che evita di reagire bruscamente di fronte alle debolezze o agli errori degli altri, adesso appare un’altra parola – paroxynetai – che si riferisce ad una reazione interiore di indignazione provocata da qualcosa di esterno. Si tratta di una violenza interna, di una irritazione non manifesta che ci mette sulla difensiva davanti agli altri, come se fossero nemici fastidiosi che occorre evitare. Alimentare tale aggressività intima non serve a nulla. Ci fa solo ammalare e finisce per isolarci. L’indignazione è sana quando ci porta a reagire di fronte a una grave ingiustizia, ma è dannosa quando tende ad impregnare tutti i nostri atteggiamenti verso gli altri.
Il Vangelo invita piuttosto a guardare la trave nel proprio occhio (cfr Mt 7,5), e come cristiani non possiamo ignorare il costante invito della Parola di Dio a non alimentare l’ira: «Non lasciarti vincere dal male» (Rm 12,21). «E non stanchiamoci di fare il bene» (Gal 6,9). Una cosa è sentire la forza dell’aggressività che erompe e altra cosa è acconsentire ad essa, lasciare che diventi un atteggiamento permanente: «Adiratevi, ma non peccate; non tramonti il sole sopra la vostra ira» (Ef 4,26). Perciò, non bisogna mai finire la giornata senza fare pace in famiglia. «E come devo fare la pace? Mettermi in ginocchio? No! Soltanto un piccolo gesto, una cosina così, e l’armonia familiare torna. Basta una carezza, senza parole. Ma mai finire la giornata in famiglia senza fare la pace!». La reazione interiore di fronte a una molestia causata dagli altri dovrebbe essere anzitutto benedire nel cuore, desiderare il bene dell’altro, chiedere a Dio che lo liberi e lo guarisca: «Rispondete augurando il bene. A questo infatti siete stati chiamati da Dio per avere in eredità la sua benedizione» (1 Pt 3,9).

Se dobbiamo lottare contro un male, facciamolo, ma diciamo sempre “no” alla violenza interiore.

 

RIFLESSIONE DEL PARROCO

Credo che la famiglia sia al centro delle nostre comunità, non potrebbe essere altrimenti. Vi assicuro la mia preghiera e il mio sostegno, se volete proporre qualche incontro o attività sono a vostra disposizione.
Dopo la pazienza siamo invitati ad essere benevoli e a guarire dall’invidia.

Atteggiamento di benevolenza
Segue la parola chresteuetai, che è unica in tutta la Bibbia, derivata da chrestos (persona buona, che mostra la sua bontà nelle azioni). Però, considerata la posizione in cui si trova, in stretto parallelismo con il verbo precedente, ne diventa un complemento. In tal modo Paolo vuole mettere in chiaro che la “pazienza” nominata al primo posto, non è un atteggiamento totalmente passivo, bensì è accompagnata da un’attività, da una reazione dinamica e creativa nei confronti degli altri. Indica che l’amore fa del bene agli altri e li promuove. Perciò si traduce come “benevola”.
Nell’insieme del testo si vede che Paolo vuole insistere sul fatto che l’amore non è solo un sentimento, ma che si deve intendere nel senso che il verbo “amare” che in ebraico vale a dire: “fare il bene”. Come diceva sant’Ignazio di Loyola, «l’amore si deve porre più nelle opere che nelle parole». In questo modo può mostrare tutta la sua fecondità, e ci permette di sperimentare la felicità di dare, la nobiltà e la grandezza di donarsi in modo sovrabbondante, senza misurare, senza esigere ricompense, per il solo gusto di dare e di servire.
Cerchiamo di gustare sempre più la gioia nel dare e nel servire gli altri membri della propria famiglia.

Guarendo l’invidia
Quindi si rifiuta come contrario all’amore un atteggiamento espresso con il termine zelos (gelosia o invidia). Significa che nell’amore non c’è posto per il provare dispiacere a causa del bene dell’altro. L’invidia è una tristezza per il bene altrui e dimostra che non ci interessa la felicità degli altri, poiché siamo esclusivamente concentrati sul nostro benessere. Mentre l’amore ci fa uscire da noi stessi, l’invidia ci porta a centrarci sul nostro io.
Il vero amore apprezza i successi degli altri, non li sente come una minaccia, e si libera del sapore amaro dell’invidia. Accetta il fatto che ognuno ha doni differenti e strade diverse nella vita. Dunque fa in modo di scoprire la propria strada per essere felice, lasciando che gli altri trovino la loro.
In definitiva si tratta di adempiere quello che richiedevano gli ultimi due comandamenti della Legge di Dio: «Non desidererai la casa del tuo prossimo. Non desidererai la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo né la sua schiava, né il suo bue né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo» (Es 20,17). L’amore ci porta a un sincero apprezzamento di ciascun essere umano, riconoscendo il suo diritto alla felicità.
Amo quella persona, la guardo con lo sguardo di Dio Padre, che ci dona tutto «perché possiamo goderne» (1 Tm 6,17), e dunque accetto dentro di me che possa godere di un buon momento. Questa stessa radice dell’amore, in ogni caso, è quella che mi porta a rifiutare l’ingiustizia per il fatto che alcuni hanno troppo e altri non hanno nulla, o quella che mi spinge a far sì che anche quanti sono scartati dalla società possano vivere un po’ di gioia. Questo però non è invidia, ma desiderio di equità.

Volgiamo migliorare il mondo? Allora desideriamo la felicità degli altri e la nostra, amando concretamente tutti ogni giorno nelle situazioni concrete della vita.

 Don Gabriel

 

 

 

44ª GIORNATA NAZIONALE PER LA VITA 6 febbraio 2022 CUSTODIRE OGNI VITA

“Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse” (Gen 2,15).
La risposta che ogni vita fragile silenziosamente sollecita è quella della custodia.  “Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato! La vocazione del custodire non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. È il custodire l’intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d’Assisi: è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo. È il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore. È l’aver cura l’uno dell’altro nella famiglia: i coniugi si custodiscono reciprocamente, come genitori si prendono cura dei figli, e col tempo anche i figli diventano custodi dei genitori. È il vivere con sincerità le amicizie, che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel bene” (Papa Francesco, Omelia, 19 marzo 2013).
Le persone, le famiglie, le comunità e le istituzioni non si sottraggano a questo compito, imboccando ipocrite scorciatoie, ma si impegnino sempre più seriamente a custodire ogni vita.

RIFLESSIONE DEL PARROCO

Cosa dire all’inizio di un nuovo anno? Vi dico che la Chiesa
ci fa benedire da Maria Santissima, Madre di Dio, come una
mamma benedice i suoi figli che devono partire per un viaggio.
Vi invito a coltivare sempre più il nostro spirito, la nostra
relazione con Dio, a cui appartengono i giorni, e daremo sempre
più importanza al senso che diamo al tempo.
Utilizziamo il tempo per fare del bene, per amare e il regno di Gesù, appena nato a Betlemme si diffonderà nei nostri
cuori, nelle nostre famiglie, nelle nostre parrocchie.
Felice anno nuovo!
Buins fiestis!

Don Gabriel

RIFLESSIONE DEL PARROCO

“Vi annuncio una grande gioia: oggi è nato per voi un Salvatore, Cristo Gesù.”
                                                                                                        Lc 2,10-11
Cari parrocchiani, vi invito ad accogliere questa grande gioia nella vostra vita, nelle vostre famiglie!
Il bambino Gesù è l’Emanuele, il Dio-con-noi, d’ora in poi non saremo mai soli. Lasciamoci avvolgere dalla sua presenza.
Contemplando la grotta di Betlemme scopriamo con stupore che Gesù, il Figlio di Dio, è nato nella povertà, nella semplicità e nell’amore.
Impariamo anche noi a percorrere la stessa strada per incontrare il Signore.

 Buon santo Natale! Felice anno nuovo!
Bôn Nadal! Buins fiestis!

 Don Gabriel

RIFLESSIONE DEL PARROCO

Questa terza domenica di Avvento è la domenica della gioia perché la Natività di Gesù si avvicina e il profeta Giovanni Battista ci invita ad agi[1]re, a essere concreti, a salutare, a prendere cura di qualcuno. Da qualche giorno ho cominciato la visita agli anziani e ammalati, per conoscerli, per portare loro la Comunione, chiedere la loro benedizione, preghiera e saggezza di vita. Loro sono una ricchezza per le nostre comunità, vanno valorizzati. In un modo particolare per le feste natalizie vi invito a uno slancio di fraternità e solidarietà perché la nascita di Gesù sia una gioia per tutti.
Dio vi benedica!

RIFLESSIONE DEL PARROCO

Come ringraziarvi per la bellissima celebrazione per il mio ingresso in mezzo a voi?
“Alzerò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore”. Salmo 115,4
Passerò in ognuna delle sette comunità per esprimervi il mio grazie. E se la prima impressione conta, vuol dire che c’è una grande disponibilità a collaborare per fare comunità. Personalmente sono molto contento e ho cominciato la mia missione con grande impegno ed entusiasmo.
Dio vi benedica. Mandi.                                                                              Don Gabriel

Tempo di preparazione…

Domenica 21 novembre, alle ore 16, accoglieremo nel duomo di Variano il nuovo parroco delle nostre 7 parrocchie, don Gabriel Cimpoesu.
Nato nel 1976 in Romania, don Gabriel ha frequentato il seminario interdiocesano a Castellerio (come suo fratello don Rafael, ora nella Collaborazione Pastorale di Moggio Udinese), venendo ordinato sacerdote nel giugno del 2001.
Dopo un lungo periodo come missionario in Costa d’Avorio è rientrato nella diocesi di Udine, diventando nel 2018 vicario parrocchiale di Tarvisio, Camporosso, Fusine, Cave del Predil e dall’anno successivo anche di Ugovizza e Malborghetto.
È una vera grazia per le nostre comunità accogliere così presto un nuovo sacerdote, dopo aver dovuto salutare don Dino; ringraziamo il Signore per questo dono e impegniamoci per non far mancare il nostro aiuto e la nostra preghiera al nuovo parroco don Gabriel, a cui spetta ora il compito di guidare ben sette parrocchie.
Porta in dote esperienze culturali e di vita missionaria che sicuramente non potranno che arricchirci, così come possiamo fare anche noi con le nostre esperienze parrocchiali e comunitarie.
Prepariamoci a camminare insieme a lui per essere davvero Chiesa, comunità cristiana viva e feconda, e continuare su quel sentiero, faticoso ma bello, che in questi anni ci ha permesso di mantenere le nostre identità parrocchiali e al tempo stesso riunirci in un’unica collaborazione.
E proprio come segno di questa collaborazione, domenica tutte le 7 croci delle nostre parrocchie saranno presenti in duomo, addobbate, per dare il loro primo saluto a don Gabriel.