RIFLESSIONE DEL PARROCO

PREPARIAMO LA SETTIMANA SANTA, CONOSCENDO LE SUE CELEBRAZIONI.

LA SETTIMANA SANTA
Domenica delle Palme
La Settimana Santa si apre con la Domenica delle Palme. In essa si celebra l’entrata trionfale di Gesù a Gerusalemme, acclamato come Messia e figlio di Davide.
Giovedì santo
Durante la mattinata del Giovedì Santo non si celebra l’Eucarestia nelle parrocchie, perché viene celebrata un’unica Messa, detta Messa del Crisma, in ogni Diocesi, nella Cattedrale. Tale Messa è presieduta dal Vescovo insieme a tutti i suoi preti e diaconi. In questa Messa vengono consacrati gli Olii santi, e i presbiteri rinnovano le promesse emesse al momento della loro ordinazione.
Con la Messa nella Cena del Signore, celebrata nella sera, inizia il solenne Triduo Pasquale.

IL TRIDUO PASQUALE

Giovedì Santo
Il solenne Triduo Pasquale della Passione, Morte e Risurrezione di Cristo viene aperto con la Messa nella Cena del Signore, nella quale si ricorda l’Ultima Cena di Gesù, la istituzione dell’Eucarestia e del Sacerdozio ministeriale, e si ripete il gesto simbolico della Lavanda dei piedi effettuato da Cristo nell’Ultima Cena. Al termine, l’Eucaristia viene riposta nell’Altare della Reposizione, davanti al quale i fedeli permangono in adorazione.
Venerdì Santo
Il Venerdì Santo è il giorno della morte di Gesù sulla Croce.
Il Venerdì Santo è tradizione effettuare la Via Crucis. Si pratica il digiuno e ci si astiene dalle carni come forma di partecipazione alla Passione e Morte del Signore.
Sabato Santo
Il Sabato Santo è tradizionalmente giorno senza liturgia: non si celebra l’Eucaristia, e la Comunione ai malati si porta solamente ai malati in punto di morte.
La Veglia Pasquale
Nella notte si celebra la solenne Veglia Pasquale, che è la celebrazione più importante di tutto l’Anno Liturgico.
Domenica di Resurrezione
La Domenica di Resurrezione torna a riecheggiare la gioia della Veglia Pasquale. Tale domenica è ampliata nell’Ottava di Pasqua: la Chiesa celebra la pienezza di questo evento fondamentale per la durata di otto giorni, concludendo la II domenica di Pasqua, chiamata fin dall’antichità Domenica in Albis, che San Giovanni Paolo II ha voluto dedicare alla celebrazione della Divina Misericordia.
Ovviamente, non basta “conoscere” i riti della Settimana Santa. Essi vanno arricchiti da una preghiera intensa e da un’attenta partecipazione.
Buona settimana Santa.                  dD

RIFLESSIONE PARROCO

In una società in cui si esaltano i principi della libertà dell’uomo, è interessante osservare come si tenda a renderlo schiavo nelle sue forme pratiche ed esistenziali. E allora, come coniugare la libertà che sgorga dalla dignità dell’uomo, senza scadere nelle nuove raffinate forme di schiavitù del lavoro, della sessualità ridotta a cosa, del possesso delle cose, delle relazioni possessive tra persone?
Gesù, che non era uno psicologo, ma come Figlio di Dio conosceva bene il cuore dell’uomo, ha una proposta da offrirci: “la verità vi rende liberi” (Giovanni 8,32). Una verità –quella di Dio- che svela la sua “sapienza” sulla vita dell’uomo, sui rapporti tra le persone, sulle cose. La Parola di Dio ci ricorda che, per non diventare schiavi, o per ritrovare la vera libertà, bisogna ritornare a Dio: “Non avrai altri dei, al di fuori di Me” (Esodo 20,3).
Liberaci Gesù, dagli idoli che ci rendono schiavi, magari dandoci l’illusione di essere molto liberi. dD

RIFLESSIONE PARROCO

Faccio conoscere l’Omelia che l’Arcivescovo ha tenuto alla Veglia dei giovani, riunitisi in Cattedrale giovedì 15 febbraio 2018. Mi pare un’ottima opportunità per fare un buon esame di coscienza personale a partire dal vangelo. dD
Commento dell’Arcivescovo al Vangelo (Marco 1, 40-45)
Al tempo di Gesù, la lebbra era considerata una delle peggiori malattie, perché consumava un po’ alla volta la pelle e la carne fino a portare alla morte; non era curabile ed era contagiosa. Per questo, i lebbrosi erano cacciati dal paese ed erano condannati a vivere in caverne e, a volte, nei cimiteri. Non potevano avvicinarsi a nessuna persona sana: se un lebbroso l’avesse fatto, sarebbe stato ucciso con la lapidazione.
Il lebbroso del Vangelo infrange tutti i divieti e si avvicina a Gesù, rischiando quindi la morte per lapidazione. Si getta in ginocchio davanti a lui e lo prega: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Non ha più speranze umane e gli resta solo la fede in Gesù: è convinto che Gesù, se vuole, può essere più potente anche della lebbra e può purificargli il corpo dal male. Se qualcuno avesse toccato un lebbroso, sarebbe stato subito cacciato, perché avrebbe potuto essersi contaminato. Gesù invece non viene cacciato perché, appena tocca quell’uomo, la lebbra scompare. Mostra di avere il potere di purificare dal male quel malato che, in ginocchio, lo supplicava.
Infine, dopo averlo guarito, Gesù invia l’uomo dai sacerdoti perché – secondo la legge dell’epoca – toccava a loro dichiarare la guarigione di un lebbroso, nelle poche volte che ciò capitava.
Esame di coscienza davanti al Vangelo
Leggendo questo episodio del Vangelo pensiamo a noi stessi. C’è un posto anche per noi, ed è quello del lebbroso. Ognuno di noi ha un po’ di “lebbra” addosso e questa sera, all’inizio del tempo di Quaresima, cerchiamo di riconoscerla nella confessione. Ci sono, infatti, i lebbrosi nel corpo (molto pochi al nostro tempo); più numerosi sono i lebbrosi nel cuore e nell’anima. C’è la lebbra che corrode la pelle e c’è la lebbra che corrode il cuore. Facciamo qualche esempio:

  • c’è la lebbra dell avarizia, che si attacca al cuore e ti fa sentire contento quando hai più soldi e più cose degli altri, non quando doni queste cose a chi non ne ha;
  • c’è la lebbra della rabbia: la rabbia contro sé stessi, che non fa mai star contenti per come siamo; la rabbia contro gli altri, che spinge a sentimenti e parole cattive;
  • c’è la lebbra dell’impurità’. è la voglia di usare il corpo proprio (o degli altri) per cercare un piacere egoistico con pensieri, immagini o comportamenti;
  • c’è la lebbra della superbia, che ti tormenta se non ti senti un po’ più in alto degli altri, magari anche passando sopra di loro;

L’elenco potrebbe continuare. Mettiamoci come il lebbroso, cioè in ginocchio davanti a Gesù. Mostriamogli la lebbra che in questo tempo è attaccata al nostro cuore. Quali piaghe troviamo dentro di noi? In che cosa sentiamo che il nostro cuore è un po’ sporco o malato?
Confessione dei peccati e perdono di Gesù
Il lebbroso si getta in ginocchio e prega Gesù: «Se vuoi, puoi purificarmi». Proviamo a fare questa preghiera: confessiamo a Gesù le piaghe del nostro cuore e lo preghiamo di guarirci, per avere un cuore più sano, più buono, più puro.
Gesù invia il lebbroso guarito dai sacerdoti. Anche noi possiamo incontrare Gesù nel sacerdote, vivendo il Sacramento della Riconciliazione. Nella Confessione mostriamo a Gesù le nostre piaghe e preghiamolo perché ci perdoni, ci guarisca con il suo amore, ci doni la gioia di sentirci abbracciati da lui.

RIFLESSIONE DEL PARROCO

La Quaresima ci pone degli interrogativi fondamentali: cresce la mia fedeltà a Cristo, il mio desiderio di santità? Cresce la generosità apostolica nella mia vita di ogni giorno, nel mio lavoro ordinario, fra i miei colleghi? Ognuno risponda a queste domande e scoprirà che è necessaria una nuova trasformazione perché Cristo viva in noi, perché la sua immagine si rifletta limpidamente nella nostra condotta. Chiamiamo Quaresima il periodo di quaranta giorni (Quadragesima) dedicato alla preparazione della Pasqua. Dal IV° secolo è un tempo di penitenza e di rinnovamento per tutta la Chiesa, con la pratica del digiuno e dell’astinenza. “La Chiesa ogni anno si unisce al mistero di Gesù nel deserto con i quaranta giorni della Quaresima” (Catech. Chiesa Catt., 540). Proponendo ai suoi fedeli l’esempio di Cristo nel suo ritiro nel deserto, si prepara per la celebrazione delle solennità pasquali. dD

RIFLESSIONE DEL PARROCO

Domenica 4 febbraio è la Giornata nazionale per la vita, promossa dalle diocesi italiane.
“’L’amore dà sempre vita’: questa è l’affermazione di papa Francesco, che apre il capitolo quinto del suo documento sull’amore umano “Amoris laetitia”. Ci introduce nella celebrazione di questa Giornata 2018, incentrata sul tema ‘Il Vangelo della vita, gioia per il mondo’”. questa nostra Italia ha bisogno di gioia. La troverà nell’accoglienza della vita. dD

RIFLESSIONE DEL PARROCO

Domenica 4 febbraio è la Giornata nazionale per la vita, promossa dalle diocesi italiane.
“’L’amore dà sempre vita’: questa è l’affermazione di papa Francesco, che apre il capitolo quinto del suo documento sull’amore umano “Amoris laetitia”. Ci introduce nella celebrazione di questa Giornata 2018, incentrata sul tema ‘Il Vangelo della vita, gioia per il mondo’”. questa nostra Italia ha bisogno di gioia. La troverà nell’accoglienza della vita. dD

RIFLESSIONE DEL PARROCO

IL GOVERNO INGLESE HA ISTITUITO IL “MINISTERO DELLA SOLITUDINE”.
La solitudine è dunque un problema, così grande, da meritare l’istituzione di un ministero governativo?
Credo sia problema, che nessun governo riuscirà mai a risolvere, perché tocca il cuore dell’uomo, la sua interiorità, le sue scelte di vita, le sue relazioni con il prossimo. D’altronde, se rifiuto gli altri per una vita intera, è ovvio che da anziano sarò un “uomo solo”; se l’appartenenza alla comunità, civile o cristiana, mi è di peso, ed io e la mia famiglia cresciamo nella solitudine delle relazioni, invecchiando sarò ancora più solo. Fino all’aspetto più radicale e profondo: scegliere la solitudine come lontananza da Dio, dal mio io, dalla mia dignità di figlio.
Dice la scrittura: «Chi semina vento, raccoglie tempesta» (cfr Osea 8,7). Se una società esalta la solitudine, attraverso il mito dell’autonomia, del “fai da te”, dell’indipendenza sociale, del single come simbolo della libertà dall’altro e da ogni responsabilità, ecc…, come può stupirsi che la solitudine diventi un “problema sociale”?
«Là dove due o più sono radunati nel mio nome, Io sono presente in mezzo ad essi» (Matteo 18,20), questa è la risposta di Gesù alla solitudine! dD

RIFLESSIONE DEL PARROCO

Atei, non credenti, increduli. Questa è la rappresentazione che sempre più spesso viene data delle nuove generazioni e, che una nuova indagine statistica ha messo in evidenza. L’indagine è stata raccolta dal sociologo Franco Garelli, che poi ha pubblicato i dati. In effetti la “negazione di Dio e l’indifferenza religiosa tra i giovani sta crescendo sensibilmente, anche per il diffondersi di un “ateismo pratico” tra quelli che mantengono un legame labile con il cattolicesimo. Tuttavia, dice l’indagine, la “domanda di senso dei giovani resta vivace”. Si mettono insieme cristianesimo, buddismo, tecniche di rilassamento, teorie esoteriche, filosofie varie.
C’è da chiedersi: “che fine ha fatto la ricchezza della spiritualità cristiana, che ha plasmato da duemila anni intere generazioni, mettendo insieme, vangelo, scritti sapienziali e testimonianze dei santi, scelte di vita pratica? Perché c’è bisogno di altro per saziare il cuore che ricerca Dio?” dD

RIFLESSIONE DEL PARROCO

La Festa del Battesimo di Gesù completa la feste del Natale. Battezzare significa immergere, immergersi… Il suo battesimo ci ricorda che egli si è immerso nel fiume della vita degli uomini, nel nostro mondo; si è abbassato dalla sua divinità, per condividere la nostra realtà di povertà e di peccato per dare alla nostra vita luce e speranza.
Concluse le feste, si torna alla ferialità, alla normalità, alla quotidianità della fede vissuta tra le pieghe della vita. dD

 

RIFLESSIONE DEL PARROCO

Cari amici, per iniziare bene il nuovo anno 2018, per il quale ci scambiamo gli auguri, desidero invitarvi a leggere il messaggio del Papa per la giornata della pace. ve lo propongo di seguito. dD

 

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
PER LA CELEBRAZIONE DELLA  51^ GIORNATA MONDIALE DELLA PACE

1° GENNAIO 2018

Migranti e rifugiati: uomini e donne in cerca di pace

  1. Augurio di pace

Pace a tutte le persone e a tutte le nazioni della terra! La pace, che gli angeli annunciano ai pastori nella notte di Natale,[1] è un’aspirazione profonda di tutte le persone e di tutti i popoli, soprattutto di quanti più duramente ne patiscono la mancanza. Tra questi, che porto nei miei pensieri e nella mia preghiera, voglio ancora una volta ricordare gli oltre 250 milioni di migranti nel mondo, dei quali 22 milioni e mezzo sono rifugiati. Questi ultimi, come affermò il mio amato predecessore Benedetto XVI, «sono uomini e donne, bambini, giovani e anziani che cercano un luogo dove vivere in pace».[2] Per trovarlo, molti di loro sono disposti a rischiare la vita in un viaggio che in gran parte dei casi è lungo e pericoloso, a subire fatiche e sofferenze, ad affrontare reticolati e muri innalzati per tenerli lontani dalla meta.

Con spirito di misericordia, abbracciamo tutti coloro che fuggono dalla guerra e dalla fame o che sono costretti a lasciare le loro terre a causa di discriminazioni, persecuzioni, povertà e degrado ambientale.

Siamo consapevoli che aprire i nostri cuori alla sofferenza altrui non basta. Ci sarà molto da fare prima che i nostri fratelli e le nostre sorelle possano tornare a vivere in pace in una casa sicura. Accogliere l’altro richiede un impegno concreto, una catena di aiuti e di benevolenza, un’attenzione vigilante e comprensiva, la gestione responsabile di nuove situazioni complesse che, a volte, si aggiungono ad altri e numerosi problemi già esistenti, nonché delle risorse che sono sempre limitate. Praticando la virtù della prudenza, i governanti sapranno accogliere, promuovere, proteggere e integrare, stabilendo misure pratiche, «nei limiti consentiti dal bene comune rettamente inteso, [per] permettere quell’inserimento».[3] Essi hanno una precisa responsabilità verso le proprie comunità, delle quali devono assicurare i giusti diritti e lo sviluppo armonico, per non essere come il costruttore stolto che fece male i calcoli e non riuscì a completare la torre che aveva cominciato a edificare.[4]

  1. Perché così tanti rifugiati e migranti?

In vista del Grande Giubileo per i 2000 anni dall’annuncio di pace degli angeli a Betlemme, San Giovanni Paolo II annoverò il crescente numero di profughi tra le conseguenze di «una interminabile e orrenda sequela di guerre, di conflitti, di genocidi, di “pulizie etniche”»,[5] che avevano segnato il XX secolo. Quello nuovo non ha finora registrato una vera svolta: i conflitti armati e le altre forme di violenza organizzata continuano a provocare spostamenti di popolazione all’interno dei confini nazionali e oltre.

Ma le persone migrano anche per altre ragioni, prima fra tutte il «desiderio di una vita migliore, unito molte volte alla ricerca di lasciarsi alle spalle la “disperazione” di un futuro impossibile da costruire».[6] Si parte per ricongiungersi alla propria famiglia, per trovare opportunità di lavoro o di istruzione: chi non può godere di questi diritti, non vive in pace. Inoltre, come ho sottolineato nell’Enciclica Laudato si’, «è tragico l’aumento dei migranti che fuggono la miseria aggravata dal degrado ambientale».[7]

La maggioranza migra seguendo un percorso regolare, mentre alcuni prendono altre strade, soprattutto a causa della disperazione, quando la patria non offre loro sicurezza né opportunità, e ogni via legale pare impraticabile, bloccata o troppo lenta.

In molti Paesi di destinazione si è largamente diffusa una retorica che enfatizza i rischi per la sicurezza nazionale o l’onere dell’accoglienza dei nuovi arrivati, disprezzando così la dignità umana che si deve riconoscere a tutti, in quanto figli e figlie di Dio. Quanti fomentano la paura nei confronti dei migranti, magari a fini politici, anziché costruire la pace, seminano violenza, discriminazione razziale e xenofobia, che sono fonte di grande preoccupazione per tutti coloro che hanno a cuore la tutela di ogni essere umano.[8]

Tutti gli elementi di cui dispone la comunità internazionale indicano che le migrazioni globali continueranno a segnare il nostro futuro. Alcuni le considerano una minaccia. Io, invece, vi invito a guardarle con uno sguardo carico di fiducia, come opportunità per costruire un futuro di pace.

  1. Con sguardo contemplativo

La sapienza della fede nutre questo sguardo, capace di accorgersi che tutti facciamo «parte di una sola famiglia, migranti e popolazioni locali che li accolgono, e tutti hanno lo stesso diritto ad usufruire dei beni della terra, la cui destinazione è universale, come insegna la dottrina sociale della Chiesa. Qui trovano fondamento la solidarietà e la condivisione».[9] Queste parole ci ripropongono l’immagine della nuova Gerusalemme. Il libro del profeta Isaia (cap. 60) e poi quello dell’Apocalisse (cap. 21) la descrivono come una città con le porte sempre aperte, per lasciare entrare genti di ogni nazione, che la ammirano e la colmano di ricchezze. La pace è il sovrano che la guida e la giustizia il principio che governa la convivenza al suo interno.

Abbiamo bisogno di rivolgere anche sulla città in cui viviamo questo sguardo contemplativo, «ossia uno sguardo di fede che scopra quel Dio che abita nelle sue case, nelle sue strade, nelle sue piazze […] promuovendo la solidarietà, la fraternità, il desiderio di bene, di verità, di giustizia»,[10] in altre parole realizzando la promessa della pace.

Osservando i migranti e i rifugiati, questo sguardo saprà scoprire che essi non arrivano a mani vuote: portano un carico di coraggio,capacità, energie e aspirazioni, oltre ai tesori delle loro culture native, e in questo modo arricchiscono la vita delle nazioni che li accolgono. Saprà scorgere anche la creatività, la tenacia e lo spirito di sacrificio di innumerevoli persone, famiglie e comunità che in tutte le parti del mondo aprono la porta e il cuore a migranti e rifugiati, anche dove le risorse non sono abbondanti.

Questo sguardo contemplativo, infine, saprà guidare il discernimento dei responsabili della cosa pubblica, così da spingere le politiche di accoglienza fino al massimo dei «limiti consentiti dal bene comune rettamente inteso»,[11] considerando cioè le esigenze di tutti i membri dell’unica famiglia umana e il bene di ciascuno di essi.

Chi è animato da questo sguardo sarà in grado di riconoscere i germogli di pace che già stanno spuntando e si prenderà cura della loro crescita. Trasformerà così in cantieri di pace le nostre città, spesso divise e polarizzate da conflitti che riguardano proprio la presenza di migranti e rifugiati.

  1. Quattro pietre miliari per l’azione

Offrire a richiedenti asilo, rifugiati, migranti e vittime di tratta una possibilità di trovare quella pace che stanno cercando, richiede una strategia che combini quattro azioni: accogliere, proteggere, promuovere e integrare.[12]

“Accogliere” richiama l’esigenza di ampliare le possibilità di ingresso legale, di non respingere profughi e migranti verso luoghi dove li aspettano persecuzioni e violenze, e di bilanciare la preoccupazione per la sicurezza nazionale con la tutela dei diritti umani fondamentali. La Scrittura ci ricorda: «Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, hanno accolto degli angeli senza saperlo».[13]

“Proteggere” ricorda il dovere di riconoscere e tutelare l’inviolabile dignità di coloro che fuggono da un pericolo reale in cerca di asilo e sicurezza, di impedire il loro sfruttamento. Penso in particolare alle donne e ai bambini che si trovano in situazioni in cui sono più esposti ai rischi e agli abusi che arrivano fino a renderli schiavi. Dio non discrimina: «Il Signore protegge lo straniero, egli sostiene l’orfano e la vedova».[14]

“Promuovere” rimanda al sostegno allo sviluppo umano integrale di migranti e rifugiati. Tra i molti strumenti che possono aiutare in questo compito, desidero sottolineare l’importanza di assicurare ai bambini e ai giovani l’accesso a tutti i livelli di istruzione: in questo modo essi non solo potranno coltivare e mettere a frutto le proprie capacità, ma saranno anche maggiormente in grado di andare incontro agli altri, coltivando uno spirito di dialogo anziché di chiusura o di scontro. La Bibbia insegna che Dio «ama lo straniero e gli dà pane e vestito»; perciò esorta: «Amate dunque lo straniero, poiché anche voi foste stranieri nel paese d’Egitto».[15]

“Integrare”, infine, significa permettere a rifugiati e migranti di partecipare pienamente alla vita della società che li accoglie, in una dinamica di arricchimento reciproco e di feconda collaborazione nella promozione dello sviluppo umano integrale delle comunità locali. Come scrive San Paolo: «Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio».[16]

  1. Una proposta per due Patti internazionali

Auspico di cuore che sia questo spirito ad animare il processo che lungo il 2018 condurrà alla definizione e all’approvazione da parte delle Nazioni Unite di due patti globali, uno per migrazioni sicure, ordinate e regolari, l’altro riguardo ai rifugiati. In quanto accordi condivisi a livello globale, questi patti rappresenteranno un quadro di riferimento per proposte politiche e misure pratiche. Per questo è importante che siano ispirati da compassione, lungimiranza e coraggio, in modo da cogliere ogni occasione per far avanzare la costruzione della pace: solo così il necessario realismo della politica internazionale non diventerà una resa al cinismo e alla globalizzazione dell’indifferenza.

Il dialogo e il coordinamento, in effetti, costituiscono una necessità e un dovere proprio della comunità internazionale. Al di fuori dei confini nazionali, è possibile anche che Paesi meno ricchi possano accogliere un numero maggiore di rifugiati, o accoglierli meglio, se la cooperazione internazionale assicura loro la disponibilità dei fondi necessari.

La Sezione Migranti e Rifugiati del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale ha suggerito 20 punti di azione[17] quali piste concrete per l’attuazione di questi quattro verbi nelle politiche pubbliche, oltre che nell’atteggiamento e nell’azione delle comunità cristiane. Questi ed altri contributi intendono esprimere l’interesse della Chiesa cattolica al processo che porterà all’adozione dei suddetti patti globali delle Nazioni Unite. Tale interesse conferma una più generale sollecitudine pastorale nata con la Chiesa e continuata in molteplici sue opere fino ai nostri giorni.

  1. Per la nostra casa comune

Ci ispirano le parole di San Giovanni Paolo II: «Se il “sogno” di un mondo in pace è condiviso da tanti, se si valorizza l’apporto dei migranti e dei rifugiati, l’umanità può divenire sempre più famiglia di tutti e la nostra terra una reale “casa comune”».[18] Molti nella storia hanno creduto in questo “sogno” e quanto hanno compiuto testimonia che non si tratta di una utopia irrealizzabile.

Tra costoro va annoverata Santa Francesca Saverio Cabrini, di cui ricorre nel 2017 il centenario della nascita al cielo. Oggi, 13 novembre, molte comunità ecclesiali celebrano la sua memoria. Questa piccola grande donna, che consacrò la propria vita al servizio dei migranti, diventandone poi la celeste patrona, ci ha insegnato come possiamo accogliere, proteggere, promuovere e integrare questi nostri fratelli e sorelle. Per la sua intercessione il Signore conceda a noi tutti di sperimentare che «un frutto di giustizia viene seminato nella pace per coloro che fanno opera di pace».[19]

Dal Vaticano, 13 novembre 2017

Memoria di Santa Francesca Saverio Cabrini, Patrona dei migranti

                                                           Papa Francesco

[1] Luca 2,14.

[2] Angelus, 15 gennaio 2012.

[3] Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris, 57.

[4] Cfr Luca 14, 28-30.

[5] Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2000, 3.

[6] Benedetto XVIMessaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2013.

[7] N. 25.

[8] Cfr Discorso ai Direttori nazionali della pastorale per i migranti partecipanti all’Incontro promosso dal Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (CCEE), 22.09.2017.

[9] Benedetto XVIMessaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2011.

[10] Esort. ap. Evangelii gaudium, 71.

[11] Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris, 57.

[12] Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2018, 15 agosto 2017.

[13] Ebrei 13,2.

[14] Salmo 146,9.

[15] Deuteronomio 10,18-19.

[16] Efesini 2,19.

[17] “20 Punti di Azione Pastorale” e “20 Punti di Azione per i Patti Globali” (2017); vedi anche Documento ONU A/72/528.

[18] Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2004, 6.

[19] Giacomo 3,18.