RIFLESSIONE DEL PARROCO

Questa terza domenica di Avvento è la domenica della gioia perché la Natività di Gesù si avvicina e il profeta Giovanni Battista ci invita ad agi[1]re, a essere concreti, a salutare, a prendere cura di qualcuno. Da qualche giorno ho cominciato la visita agli anziani e ammalati, per conoscerli, per portare loro la Comunione, chiedere la loro benedizione, preghiera e saggezza di vita. Loro sono una ricchezza per le nostre comunità, vanno valorizzati. In un modo particolare per le feste natalizie vi invito a uno slancio di fraternità e solidarietà perché la nascita di Gesù sia una gioia per tutti.
Dio vi benedica!

RIFLESSIONE DEL PARROCO

Come ringraziarvi per la bellissima celebrazione per il mio ingresso in mezzo a voi?
“Alzerò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore”. Salmo 115,4
Passerò in ognuna delle sette comunità per esprimervi il mio grazie. E se la prima impressione conta, vuol dire che c’è una grande disponibilità a collaborare per fare comunità. Personalmente sono molto contento e ho cominciato la mia missione con grande impegno ed entusiasmo.
Dio vi benedica. Mandi.                                                                              Don Gabriel

Tempo di preparazione…

Domenica 21 novembre, alle ore 16, accoglieremo nel duomo di Variano il nuovo parroco delle nostre 7 parrocchie, don Gabriel Cimpoesu.
Nato nel 1976 in Romania, don Gabriel ha frequentato il seminario interdiocesano a Castellerio (come suo fratello don Rafael, ora nella Collaborazione Pastorale di Moggio Udinese), venendo ordinato sacerdote nel giugno del 2001.
Dopo un lungo periodo come missionario in Costa d’Avorio è rientrato nella diocesi di Udine, diventando nel 2018 vicario parrocchiale di Tarvisio, Camporosso, Fusine, Cave del Predil e dall’anno successivo anche di Ugovizza e Malborghetto.
È una vera grazia per le nostre comunità accogliere così presto un nuovo sacerdote, dopo aver dovuto salutare don Dino; ringraziamo il Signore per questo dono e impegniamoci per non far mancare il nostro aiuto e la nostra preghiera al nuovo parroco don Gabriel, a cui spetta ora il compito di guidare ben sette parrocchie.
Porta in dote esperienze culturali e di vita missionaria che sicuramente non potranno che arricchirci, così come possiamo fare anche noi con le nostre esperienze parrocchiali e comunitarie.
Prepariamoci a camminare insieme a lui per essere davvero Chiesa, comunità cristiana viva e feconda, e continuare su quel sentiero, faticoso ma bello, che in questi anni ci ha permesso di mantenere le nostre identità parrocchiali e al tempo stesso riunirci in un’unica collaborazione.
E proprio come segno di questa collaborazione, domenica tutte le 7 croci delle nostre parrocchie saranno presenti in duomo, addobbate, per dare il loro primo saluto a don Gabriel.

CHI VA…E CHI VIENE…

Da poco abbiamo salutato il nostro caro don Dino, destinato alle nuove comunità di Tricesimo, Ara e Fraelacco. È stato un duro colpo che forse stiamo ancora cercando di digerire, segno di quanta gioia e fatica abbiamo condiviso in questi 9 anni.
Abbiamo sperato che il nuovo parroco fosse designato in breve, ma nessuno poteva immaginare che sarebbe successo in così poco tempo: a meno di un mese di distanza infatti, il 21 novembre, potremo accogliere tra noi don Gabriel Cimpoesu, nuovo parroco delle nostre 7 parrocchie.
Don Dino ci ha spesso detto che dobbiamo imparare ad essere missionari nelle nostre comunità: riceviamo ora il dono di un sacerdote che per lungo tempo è stato missionario (in Costa d’Avorio).
Il Signore sa di cosa abbiamo bisogno e non lascia inascoltate le nostre preghiere! Preghiamo dunque per don Dino, che oggi inizia il suo ministero a Tricesimo; preghiamo per don Gabriel, che ha accettato la guida delle nostre comunità e il 21 novembre, alle 16 nel Duomo di Variano, farà il suo ingresso tra noi; e ringraziamo il Signore per averci mandato un nuovo pastore con cui camminare insieme.

 

RIFLESSIONE DEL PARROCO

Ritrovare l’essenzialità cristiana che è la fede (4)
L’essenziale per ogni credente è affidarsi al mistero del Signore e alla Sua Pasqua e vivere la propria esistenza in comunione con Lui. L’esperienza della fede è percorsa dall’esigenza di vedere. Vedere il volto di Dio: è la domanda che dice il bisogno di pienezza che c’è nella vita, nostra e di ogni persona; vedere Gesù, domanda che tanti anche oggi rivolgono a noi credenti, alla nostra testimonianza, alla Chiesa.
Vedere è una promessa: quella che Gesù fa ai suoi, quando promette di mostrarsi in Galilea, cioè in quella terra oscura in cui egli stesso è vissuto nell’anonimato di Nazareth e nel silenzio di trent’anni di vita ordinaria. Siamo convinti che se sapremo nuovamente, con intensità e con gioia, orientare lo sguardo verso il Volto di Gesù potremo trovare pienezza alla nostra vita: questo non significa che troveremo risoluzione ai problemi di questo tempo, ma che avremo una forza nuova per affrontarli e che il contatto con questo tempo difficile avrà rigenerato e risvegliato in noi l’esigenza e il gusto di vivere l’originalità cristiana con nuova convinzione e con nuova motivazione.
Per poter rigenerare la nostra esperienza di fede abbiamo bisogno di un’attenzione costante alla Parola del Signore, per ridare in essa nuova profondità alla vita cristiana.
Forse ci siamo fatti l’idea che essere cristiani significa soprattutto dedicarsi con generosità ad una serie di impegni che, pur buoni, ci fa perdere il gusto della dimensione interiore della fede, soprattutto quella della preghiera e dell’ascolto della Parola. È proprio l’ascolto, insieme alla preghiera, ciò che modella la nostra vita sul pensiero di Dio e la coinvolge nel suo mistero: è nell’ascolto che cresciamo nella consapevolezza che tutto è dono e che si è cristiani perché siamo continuamente rigenerati dalla misericordia; figli in un amore che ci precede e ci salva non per i nostri meriti o per quelli dei nostri impegni; chiamati dalla grandezza di un amore che ci guida, ci consola, ci sorregge, ci indica la strada, ci parla di un Padre pronto ad accoglierci infinite volte.
Il ritmo di questo cammino è quello che la Chiesa scandisce nel suo percorso di fede, quello della liturgia: della domenica e dell’anno liturgico, celebrazione del tempo di Dio che salva le nostre giornate. Ritorniamo all’ “essenziale” per gustare queste dimensioni della vita cristiana e riscoprirle nella loro freschezza e nella loro forza vitale.                                                       dD

RIFLESSIONE DEL PARROCO

L’essenzialità per un cristiano (2)
 La frase di riferimento da cui siamo partiti è tratta da “Il piccolo Principe” di A. de Saint Exupéry «Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che col cuore -disse la volpe-. L’essenziale è invisibile agli occhi». Ma cos’è essenziale o così prezioso, da essere anche così invisibile, da dover avere occhi speciali per cercarlo? Il vocabolo “essenzialità” parla di una “essenza”, cioè di ciò che è profumato. Essa ci rimanda alla necessità di interrogarci a fondo, e scoprire cosa dia profumo alla nostra vita (se ancora abbiamo il naso per odorare i profumi veri dai cattivi odori). In una società che ha perso l’essenziale, perché rincorre l’inutile, riabituarci a cercare l’essenzialità non è semplice, bisogna “riaffinare” il gusto delle cose grandi, reimparare la grammatica dell’invisibile e di ciò che è nascosto.
Ricominciare a tacere, a fare silenzio, a pensare, a interrogarci, ad andare a fondo, a cercare nel pozzo del nostro cuore e delle nostre relazioni. Più autenticamente, per un cristiano, l’essenza delle cose o del vivere, la si trova in Dio – e più precisamente nel cuore di Dio- che possiede l’ “idea iniziale” di tutto, perché tutto Egli ha fatto con sapienza e amore.
Reimparare a stare in silenzio è mestiere non facile per chi è abituato al rumore, al caos delle scelte e delle azioni, e prima ancora al disordine mentale. Siamo figli di una società delle tante chiacchiere vane, inutili e stancanti, piene del nulla che esce dai palati, che non hanno il “profumo dell’essenza”, ma che semplicemente sono pronunciate per riempire il tempo o seppellire gli altri sotto la propria arroganza.
Quando non ci sono i tempi del silenzio nella propria vita, non la si apprezza come valore grande. Dice il Salmo 39: “Rivelami, Signore, la mia fine; quale sia la misura dei miei giornisaprò quanto è breve la mia vita” (Sl 39,5). Senza il silenzio, non si apprezza l’essenza, il profumo o la gioia del vivere. Senza il silenzio non si scopre neppure l’essenzialità di un rapporto con Dio, che tutto dona e tutto illumina di senso: “Vedi, in pochi palmi hai misurato i miei giorni e la mia esistenza, davanti a te (l’uomo) è un nulla. Solo un soffio è ogni uomo che vive, … un soffio che si agita, accumula ricchezze e non sa chi le raccolga” (Sl 39,6-7).
Davvero ci conviene riscoprire il silenzio per riscoprire l’essenza, il valore, il profumo, la grandezza della vita, che è già di per sé così breve. “Sto in silenzio, non apro bocca, perché sei tu che agisci(Sl 39, 10.12).
Certo il silenzio può apparire inutile, perché invisibile; ma «L’essenziale è invisibile agli occhi».                                                                      dD

RIFLESSIONE DEL PARROCO

L’essenzialità per un cristiano (2)

La frase di riferimento da cui siamo partiti è tratta da “Il piccolo Principe” di A. de Saint Exupéry «Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che col cuore -disse la volpe-. L’essenziale è invisibile agli occhi». Ma cos’è essenziale o così prezioso, da essere anche così invisibile, da dover avere occhi speciali per cercarlo? Il vocabolo “essenzialità” parla di una “essenza”, cioè di ciò che è profumato. Essa ci rimanda alla necessità di interrogarci a fondo, e scoprire cosa dia profumo alla nostra vita (se ancora abbiamo il naso per odorare i profumi veri dai cattivi odori). In una società che ha perso l’essenziale, perché rincorre l’inutile, riabituarci a cercare l’essenzialità non è semplice, bisogna “riaffinare” il gusto delle cose grandi, reimparare la grammatica dell’invisibile e di ciò che è nascosto.
Ricominciare a tacere, a fare silenzio, a pensare, a interrogarci, ad andare a fondo, a cercare nel pozzo del nostro cuore e delle nostre relazioni. Più autenticamente, per un cristiano, l’essenza delle cose o del vivere, la si trova in Dio – e più precisamente nel cuore di Dio- che possiede l’ “idea iniziale” di tutto, perché tutto Egli ha fatto con sapienza e amore.
Reimparare a stare in silenzio è mestiere non facile per chi è abituato al rumore, al caos delle scelte e delle azioni, e prima ancora al disordine mentale. Siamo figli di una società delle tante chiacchiere vane, inutili e stancanti, piene del nulla che esce dai palati, che non hanno il “profumo dell’essenza”, ma che semplicemente sono pronunciate per riempire il tempo o seppellire gli altri sotto la propria arroganza.
Quando non ci sono i tempi del silenzio nella propria vita, non la si apprezza come valore grande. Dice il Salmo 39: “Rivelami, Signore, la mia fine; quale sia la misura dei miei giornisaprò quanto è breve la mia vita” (Sl 39,5). Senza il silenzio, non si apprezza l’essenza, il profumo o la gioia del vivere. Senza il silenzio non si scopre neppure l’essenzialità di un rapporto con Dio, che tutto dona e tutto illumina di senso: “Vedi, in pochi palmi hai misurato i miei giorni e la mia esistenza, davanti a te (l’uomo) è un nulla. Solo un soffio è ogni uomo che vive, … un soffio che si agita, accumula ricchezze e non sa chi le raccolga” (Sl 39,6-7).
Davvero ci conviene riscoprire il silenzio per riscoprire l’essenza, il valore, il profumo, la grandezza della vita, che è già di per sé così breve. “Sto in silenzio, non apro bocca, perché sei tu che agisci(Sl 39, 10.12).
Certo il silenzio può apparire inutile, perché invisibile; ma «L’essenziale è invisibile agli occhi». dD

RIFLESSIONE DEL PARROCO

                     La Pentecoste ci insegna ad essere liberi.

«Libertà è una parola fondamentale, se non «la» parola fondamentale per ogni lessico civile» (Massimo Recalcati). La vita umana esige libertà e tuttavia, la libertà non è solo un’esperienza di liberazione, di affermazione di sé, ma è anche, paradossalmente, una «condanna». L’uomo, infatti, come affermava il filosofo ateo Jean Paul Sartre, «è condannato a essere libero», perché a differenza del mondo animale dove la legge dell’istinto predomina sui comportamenti, nel mondo degli uomini è necessario che avvenga continuamente una scelta. Questo significa che non possiamo mai liberarci dalla libertà; se siamo liberi non è perché abbiamo scelto la libertà, ma perché siamo gettati nella libertà, forzatamente consegnati, vincolati, incatenati alla libertà. Nessuno infatti può scegliere al nostro posto. Non posso liberarmi dalla responsabilità della scelta, anche se scelgo di non scegliere, questa opzione resterà sempre espressione di una scelta mia.
L’uomo è perfino libero di rifiutare Dio, il suo Creatore, per essere libero da Dio, pensando così di raggiungere la sua piena autonomia. Ma questa «libertà da» in se stessa non è ancora una «libertà di» o una «libertà per». Questo significa che non basta educarci o educare a liberarci dalle costrizioni civili o religiose. Non siamo liberi semplicemente perché non siamo costretti a fare qualche scelta. Siamo veramente liberi quando la nostra vita sa farsi dono a qualcuno, quando facciamo dono della nostra libertà a qualcun altro, per amore, per amare, per servire, per realizzare una causa di bene.
La solennità della Pentecoste ci pone davanti alla libertà che lo Spirito Santo genera in noi attraverso la Parola di Dio e i Sacramenti. Ce lo testimoniano gli apostoli e i martiri: Egli ci rende liberi di amare, fino al martirio, fino a consumarci totalmente per Dio e per i fratelli. Solo così la libertà che sgorga dal Vangelo non sarà più una «condanna», ma una gioia, e una gioia da condividere con altri. Il nome di questa «libertà» è Gesù. Chi lo segue diventa libero di amare come Lui, e la sua vita attira altri non nella trappola di una «condanna», ma in un fiume di gioia. Chi lo segue costruisce Chiesa fondata sulla libertà, non sulla paura, né sulla condanna. Chi segue Cristo diventa una sorgente di libertà.               dD

 

 

RIFLESSIONE DEL PARROCO

L’Ascensione ci insegna l’arte della testimonianza.

I discepoli sono ritornati in Galilea, su quel monte che conoscevano bene. “Quando lo videro, si prostrarono” (Matteo 28,16-20). Gesù lascia la terra con un bilancio apparentemente fallimentare: Giuda lo ha tradito; gli Undici sono impauriti e confusi; un piccolo nucleo di donne sono più coraggiose e fedeli. Lo hanno seguito per tre anni sulle strade della Palestina, non hanno capito molto, ma lo hanno amato molto. Questa è la sola garanzia di cui Gesù ha bisogno, che i suoi discepoli lo amino molto. Ora può tornare al Padre, rassicurato di essere amato, anche se non del tutto capito. Adesso, sa che nessuno di quegli uomini e di quelle donne lo dimenticherà.
Essi però dubitarono…”. Gesù compie un atto di enorme fiducia in persone che dubitano ancora. Non rimane ancora un po’ per spiegare meglio il suo messaggio, per chiarire i punti oscuri; ma affida il suo messaggio a gente che dubita ancora; sì, non esiste fede vera senza dubbi. Gesù lo sa, ognuno deve camminare con le sue gambe e approfondire la sua relazione con Cristo. Gesù affida il mondo che ha “sognato” alla fragilità degli Undici, e non all’intelligenza dei primi della classe; affida la Verità a uomini e donne pieni di dubbi, chiama gli apostoli impauriti ad andare fino agli estremi confini della terra. Egli ha fede in noi, più di quanto noi abbiamo fede salda in lui.
A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra… Andate dunque”: sono io quello che vive in voi e vi spinge, vi manda, vi sostiene. “Fate discepoli tutti i popoli…” per contagio, per testimonianza; quasi una pandemia di fede in Gesù, di vita nello spirito, di amore versato. “Io sono con voi, tutti i giorni, fino alla fine del mondo”. Sì, Gesù è con noi, sempre; non siamo mai soli.
Questa è la festa dell’Ascensione: Gesù non è andato lontano, in qualche angolo del Cielo, ma è ritornato al Padre, e si è fatto più vicino di prima. Se prima era insieme con i discepoli sulla terra, ora sarà dentro di loro, per sempre. Non è andato al di là delle nubi, ma al di là delle apparenze, per entrare nei cuori e nella storia, attraverso una “pandemia della testimonianza cristiana”. dD

RIFLESSIONE DEL PARROCO

Sono passati quasi 80 giorni da quando è iniziata questa pandemia! 40 prima di Pasqua; circa 40 dopo Pasqua. E già i numeri, presi dal simbolismo biblico, ci dicono molto. Si tratta di un’esperienza che deve insegnarci qualcosa. Dio ci parla, e noi desideriamo ascoltarlo, non sciupiamo questa opportunità!
Ma ora è tempo di celebrare di nuovo insieme la nostra fede. Non bastano la Tv e i social a farci vivere la nostra fede. Ci vuole una comunità, la nostra comunità, bella o brutta che sia. Riprendiamo a frequentare le chiese, non perché esse siano il “tutto” della nostra fede, ma perché come una madre, esse ci raccolgono per farci sentire che siamo una comunità viva. Ora veniamo “autorizzati” a celebrare ancora la nostra fede: bontà del governo e dei tecnici…
Abbiamo rinunciato come Chiesa a poterlo fare, per un bene maggiore: la salute di tutti. Ora forse ci siamo abituati anche a non incontraci e ad accontentarci della nostra privata Messa streaming, fosse anche quella del Papa. Ma la fede cristiana, non è né privata, né in video. La nostra fede si vive in carne ed ossa, in una comunità viva, che celebra, canta, prega, ama e condivide, piange, gioisce, e si interroga. Per questo motivo riapriamo le nostre chiese con un primo atto di pietà cristiana: dobbiamo seppellire i morti, che non abbiamo potuto seppellire insieme. È questo quello che compiremo come primo gesto: celebrare insieme il ricordo dei tredici defunti che se ne sono andati al camposanto con troppa sobrietà, poca preghiera, nessuna nostra partecipazione. C’era solo il pianto dei pochissimi familiari frastornati e impreparati ad una sepoltura fatta così di corsa.
E dopo i morti, riprenderemo a celebrare tutto il resto. Buon cammino a tutti!

                                                                                                               dD