RIFLESSIONE DEL PARROCO

V. UNA COMUNIONE UNIVERSALE (prima parte)
Le creature di questo mondo non possono essere considerate un bene senza proprietario: «Sono tue, Signore, amante della vita» (Sap 11,26). Questo induce alla convinzione che, essendo stati creati dallo stesso Padre, noi tutti esseri dell’universo, siamo uniti da legami invisibili e formiamo una sorta di famiglia universale, una comunione sublime che ci spinge ad un rispetto sacro, amorevole e umile. Dio ci ha unito tanto strettamente al mondo che ci circonda, che la desertificazione del suolo è come una malattia per ciascuno e possiamo lamentare l’estinzione di una specie come fosse una mutilazione.
Questo non significa equiparare tutti gli esseri viventi e togliere all’essere umano quel valore peculiare che implica allo stesso tempo una tremenda responsabilità. E nemmeno comporta una divinizzazione della terra, che ci priverebbe della chiamata a collaborare con essa e a proteggere la sua fragilità. Queste concezioni finirebbero per creare nuovi squilibri nel tentativo di fuggire dalla realtà che ci interpella. Si avverte a volte, l’ossessione di negare alla persona umana qualsiasi preminenza e si porta avanti una lotta per le altre specie che non mettiamo in atto per difendere la pari dignità tra gli esseri umani. Certamente ci deve preoccupare che gli altri esseri viventi non siano trattati in modo irresponsabile, ma ci dovrebbero indignare soprattutto le enormi disuguaglianze che esistono tra di noi, perché continuiamo a tollerare che alcuni si considerino più degni di altri.   Non ci accorgiamo più che alcuni si trascinano in una miseria degradante, senza reali possibilità di miglioramento, mentre altri non sanno nemmeno che farsene di ciò che possiedono, ostentano con vanità una pretesa superiorità e lasciano dietro di sé, un livello di spreco tale che sarebbe impossibile generalizzarlo senza distruggere il pianeta. Continuiamo nei fatti ad ammettere che alcuni si sentano più umani di altri, come se fossero nati con maggiori diritti.
Non può essere autentico un sentimento di intima unione con gli altri esseri della natura, se nello stesso tempo nel cuore non c’è tenerezza, compassione e preoccupazione per gli esseri umani. È evidente l’incoerenza di chi lotta contro il traffico di animali a rischio di estinzione, ma rimane del tutto indifferente davanti alla tratta di persone, si disinteressa dei poveri o è determinato a distruggere un altro essere umano che non gli è gradito.

 

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IV. IL MESSAGGIO DI OGNI CREATURA NELL’ARMONIA DI TUTTO IL CREATO
Insistere nel dire che l’essere umano è immagine di Dio non dovrebbe farci dimenticare che ogni creatura, ha una funzione e nessuna è superflua. Tutto l’universo materiale è un linguaggio dell’amore di Dio, del suo affetto smisurato per noi. Suolo, acqua, montagne, tutto è carezza di Dio. La storia della propria amicizia con Dio si sviluppa sempre in uno spazio geografico, che diventa un segno molto personale e ognuno di noi conserva nella memoria luoghi il cui ricordo gli fa tanto bene. Chi è cresciuto tra i monti o, chi da bambino sedeva accanto al ruscello per bere o, chi giocava in una piazza del suo quartiere, quando ritorna in quei luoghi si sente chiamato a recuperare la propria identità.
Dio ha scritto un libro stupendo, le cui lettere sono la moltitudine di creature presenti nell’universo. Nessuna creatura resta fuori da questa manifestazione di Dio: dai più ampi panorami alla più esili forme di vita, la natura è una continua sorgente di meraviglia e di reverenza. Essa è inoltre, una rivelazione continua del divino. Percepire ogni creatura che canta l’inno della sua esistenza, è vivere con gioia nell’amore di Dio e nella speranza. Questa contemplazione del creato, ci permette di scoprire attraverso ogni cosa qualche insegnamento che Dio ci vuole comunicare, perché per il credente contemplare il creato è anche ascoltare un messaggio, udire una voce paradossale e silenziosa. Possiamo dire che, accanto alla rivelazione propriamente detta contenuta nelle Sacre Scritture c’è quindi, una manifestazione divina nello sfolgorare del sole e nel calare della notte.
Prestando attenzione a questa manifestazione, l’essere umano impara a riconoscere sé stesso in relazione alle altre creature: io mi esprimo esprimendo il mondo; io esploro la mia sacralità decifrando quella del mondo. L’insieme dell’universo, con le sue molteplici relazioni, mostra al meglio la ricchezza inesauribile di Dio. San Tommaso d’Aquino, ha sottolineato sapientemente che la molteplicità e la varietà, provengono dall’intenzione del primo agente, il quale ha voluto che, ciò che manca a ciascuna cosa per rappresentare la bontà divina sia supplito dalle altre cose, perché la sua bontà non può essere adeguatamente rappresentata da una sola creatura. Per questo, abbiamo bisogno di cogliere la varietà delle cose nelle loro molteplici relazioni. Dunque, si capisce meglio l’importanza e il significato di qualsiasi creatura, se la si contempla nell’insieme del piano di Dio.
L’interdipendenza delle creature è voluta da Dio. Il sole e la luna, il cedro e il piccolo fiore, l’aquila e il passero: le innumerevoli diversità e disuguaglianze stanno a significare che nessuna creatura basta a sé stessa, che esse esistono solo in dipendenza le une dalle altre, per completarsi vicendevolmente, al servizio le une delle altre.

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III. IL MISTERO DELL’UNIVERSO  (terza parte)
Dio vuole agire con noi e contare sulla nostra collaborazione, è anche in grado di trarre qualcosa di buono dai mali che noi compiamo, perché lo Spirito Santo possiede un’inventiva infinita, propria della mente divina, che sa provvedere a sciogliere i nodi delle vicende umane anche più complesse e impenetrabili. In qualche modo, Egli ha voluto limitare sé stesso creando un mondo bisognoso di sviluppo, dove molte cose che noi consideriamo mali, pericoli o fonti di sofferenza, fanno parte in realtà dei dolori del parto, che ci stimolano a collaborare con il Creatore. Egli è presente nel più intimo di ogni cosa, senza condizionare l’autonomia della sua creatura e anche questo, dà luogo alla legittima autonomia delle realtà terrene. Questa presenza divina che assicura la permanenza e lo sviluppo di ogni essere, è la continuazione dell’azione creatrice. Lo Spirito di Dio, ha riempito l’universo con le potenzialità che permettono che dal grembo stesso delle cose possa sempre germogliare qualcosa di nuovo: la natura non è altro che la ragione di una certa arte, in specie dell’arte divina, inscritta nelle cose, per cui le cose stesse si muovono verso un determinato fine.
L’essere umano, benché supponga anche processi evolutivi, comporta una novità non pienamente spiegabile dall’evoluzione di altri sistemi aperti. Ognuno di noi, dispone in sé di un’identità personale in grado di entrare in dialogo con gli altri e con Dio stesso. La capacità di riflessione, il ragionamento, la creatività, l’interpretazione, l’elaborazione artistica ed altre capacità originali mostrano una singolarità che trascende l’ambito fisico e biologico. La novità qualitativa implicata dal sorgere di un essere personale all’interno dell’universo materiale presuppone un’azione diretta di Dio, una peculiare chiamata alla vita e alla relazione di un Tu a un altro tu.
A partire dai testi biblici, consideriamo la persona come soggetto, che non può mai essere ridotto alla categoria di oggetto.
Sarebbe però anche sbagliato pensare che gli altri esseri viventi debbano essere considerati come meri oggetti sottoposti all’arbitrario dominio dell’essere umano. Quando si propone una visione della natura unicamente come oggetto di profitto e di interesse, ciò comporta anche gravi conseguenze per la società. La visione che rinforza l’arbitrio del più forte ha favorito immense disuguaglianze, ingiustizie e violenze per la maggior parte dell’umanità, perché le risorse diventano proprietà del primo arrivato o di quello che ha più potere: il vincitore prende tutto. L’ideale di armonia, di giustizia, di fraternità e di pace che Gesù propone è agli antipodi di tale modello, così Egli lo esprimeva riferendosi ai poteri del suo tempo: «I governanti delle nazioni dominano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore» (Mt 20,25-26).
Il traguardo del cammino dell’universo è nella pienezza di Dio, che è stata già raggiunta da Cristo risorto, fulcro della maturazione universale. In tal modo aggiungiamo un ulteriore argomento per rifiutare qualsiasi dominio dispotico e irresponsabile dell’essere umano sulle altre creature. Lo scopo finale delle altre creature non siamo noi. Invece tutte avanzano, insieme a noi e attraverso di noi, verso la meta comune, che è Dio, in una pienezza trascendente dove Cristo risorto abbraccia e illumina tutto. L’essere umano, infatti, dotato di intelligenza e di amore, e attratto dalla pienezza di Cristo, è chiamato a ricondurre tutte le creature al loro Creatore.

 

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III. IL MISTERO DELL’UNIVERSO (seconda parte)

Un ritorno alla natura non può essere a scapito della libertà e della responsabilità dell’essere umano, che è parte del mondo con il compito di coltivare le proprie capacità per proteggerlo e svilupparne le potenzialità. Se riconosciamo il valore e la fragilità della natura e allo stesso tempo le capacità che il Creatore ci ha dato, questo ci permette oggi di porre fine al mito moderno del progresso materiale illimitato. Un mondo fragile, con un essere umano al quale Dio ne affida la cura, interpella la nostra intelligenza per riconoscere come dovremmo orientare, coltivare e limitare il nostro potere.

In questo universo, composto da sistemi aperti che entrano in comunicazione gli uni con gli altri, possiamo scoprire innumerevoli forme di relazione e partecipazione. Questo ci porta anche a pensare l’insieme come aperto alla trascendenza di Dio, all’interno della quale si sviluppa.

La fede ci permette di interpretare il significato e la bellezza misteriosa di ciò  che accade. La libertà umana può offrire il suo intelligente contributo verso un’evoluzione positiva, ma può anche aggiungere nuovi mali, nuove cause di sofferenza e momenti di vero arretramento. Questo dà luogo all’appassionante e drammatica storia umana, capace di trasformarsi in un fiorire di liberazione, crescita, salvezza e amore, oppure in un percorso di decadenza e di distruzione reciproca. Pertanto, l’azione della Chiesa non solo cerca di ricordare il dovere di prendersi cura della natura, ma al tempo stesso deve proteggere soprattutto l’uomo contro la distruzione di sé stesso. 

Ne siamo consapevoli?

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II. IL MISTERO DELL’UNIVERSO (prima parte)
Per la tradizione giudeo-cristiana, dire “creazione” è più che dire natura, perché ha che vedere con un progetto dell’amore di Dio, dove ogni creatura ha un valore e un significato. La natura viene spesso intesa come un sistema che si analizza, si comprende e si gestisce, ma la creazione può essere compresa solo come un dono che scaturisce dalla mano aperta del Padre di tutti, come una realtà illuminata dall’amore che ci convoca ad una comunione universale.
«Dalla parola del Signore furono fatti i cieli» (Sal 33,6). Così ci viene indicato che il mondo proviene da una decisione, non dal caos o dalla casualità e questo lo innalza ancora di più. Vi è una scelta libera espressa nella parola creatrice. L’universo non è sorto come risultato di un’onnipotenza arbitraria, di una dimostrazione di forza o di un desiderio di autoaffermazione. La creazione appartiene all’ordine dell’amore. L’amore di Dio è la ragione fondamentale di tutto il creato: «Tu infatti ami tutte le cose che esistono e non provi disgusto per nessuna delle cose

che hai creato; se avessi odiato qualcosa, non l’avresti neppure formata» (Sap 11,24).
Così, ogni creatura è oggetto della tenerezza del Padre che le assegna un posto nel mondo. Perfino l’effimera vita dell’essere più insignificante è oggetto del suo amore e in quei pochi secondi di esistenza, Egli lo circonda con il suo affetto. Diceva San Basilio Magno che il Creatore è anche la bontà senza calcolo e Dante Alighieri parlava dell’amor che muove il sole e le altre stelle. Perciò, dalle opere create si ascende fino alla sua amorosa misericordia.  Allo stesso tempo, il pensiero ebraico-cristiano ha demitizzato la natura. Senza smettere di ammirarla per il suo splendore e la sua immensità, non le ha più attribuito un carattere divino. In questo modo viene sottolineato ulteriormente il nostro impegno nei suoi confronti.

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  1. LA SAPIENZA DEI RACCONTI BIBLICI (terza parte)

Anche se «la malvagità degli uomini era grande sulla terra» (Gen 6,5) e Dio «si pentì di aver fatto l’uomo sulla terra» (Gen 6,6), tuttavia, attraverso Noè, che si conservava ancora integro e giusto, Dio ha deciso di aprire una via di salvezza. In tal modo ha dato all’umanità la possibilità di un nuovo inizio. Basta un uomo buono perché ci sia speranza! La tradizione biblica, stabilisce chiaramente che questa riabilitazione comporta la riscoperta e il rispetto dei ritmi inscritti nella natura dalla mano del Creatore. Ciò si vede, per esempio, nella legge dello Shabbat. Il settimo giorno, Dio si riposò da tutte le sue opere. Dio ordinò a Israele che ogni settimo giorno doveva essere celebrato come giorno di riposo, uno Shabbat (cfr Gen 2,2-3; Es 16,23; 20,10). D’altra parte, fu stabilito anche un anno sabbatico per Israele e la sua terra, ogni sette anni (cfr Lv 25,1-4), durante il quale si concedeva un completo riposo alla terra, non si seminava e si raccoglieva soltanto l’indispensabile per sopravvivere e offrire ospitalità (cfr Lv 25,4-6). Infine, trascorse sette settimane di anni, cioè quarantanove anni, si celebrava il giubileo, anno del perdono universale e della «liberazione nella terra per tutti i suoi abitanti» (Lv 25,10). Lo sviluppo di questa legislazione, ha cercato di assicurare l’equilibrio e l’equità nelle relazioni dell’essere umano con gli altri e con la terra dove viveva e lavorava. Ma, allo stesso tempo, era un riconoscimento del fatto che il dono della terra con i suoi frutti appartiene a tutto il popolo. Quelli che coltivavano e custodivano il territorio dovevano condividerne i frutti, in particolare con i poveri, le vedove, gli orfani e gli stranieri: «Quando mieterete la messe della vostra terra, non mieterete fino ai margini del campo, né raccoglierete ciò che resta da spigolare della messe; quanto alla tua vigna, non coglierai i racimoli e non raccoglierai gli acini caduti: li lascerai per il povero e per il forestiero» (Lv 19,9-10).
Esistiamo non solo per la potenza di Dio, ma davanti a Lui e con Lui. Perciò noi lo adoriamo.
Gli scritti dei profeti, invitano a ritrovare la forza nei momenti difficili, contemplando il Dio potente che ha creato l’universo. La potenza infinita di Dio non ci porta a sfuggire alla sua tenerezza paterna, perché in Lui affetto e forza si coniugano. In realtà, ogni sana spiritualità implica allo stesso tempo accogliere l’amore divino e adorare con fiducia il Signore per la sua infinita potenza. Nella Bibbia, il Dio che libera e salva, è lo stesso che ha creato l’universo, e questi due modi di agire divini sono intimamente e indissolubilmente legati: «Ah, Signore Dio, con la tua grande potenza e la tua forza hai fatto il cielo e la terra; nulla ti è impossibile []. Tu hai fatto uscire dall’Egitto il tuo popolo Israele con segni e con miracoli» (Ger 32,17.21). «Dio eterno è il Signore, che ha creato i confini della terra. Egli non si affatica né si stanca, la sua intelligenza è inscrutabile. Egli dà forza allo stanco e moltiplica il vigore allo spossato» (Is 40,28b-29).
Non possiamo sostenere una spiritualità che dimentichi Dio onnipotente e creatore. In questo modo, finiremmo per adorare altre potenze del mondo o ci collocheremmo al posto del Signore, fino a pretendere di calpestare la realtà creata da Lui, senza conoscere limite. Il modo migliore per collocare l’essere umano al suo posto e mettere fine alla sua pretesa di essere un dominatore assoluto della terra, è ritornare a proporre la figura di un Padre creatore e unico padrone del mondo, perché altrimenti l’essere umano tenderà sempre a voler imporre alla realtà le proprie leggi e i propri interessi.
L’uomo deve ricordarsi che deve collaborare con Dio, portare a compimento l’opera della creazione, rispettando le leggi della natura che Dio ha scritto in essa.
Siamo solo collaboratori creativi di Dio ed è una bella missione.

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II. LA SAPIENZA DEI RACCONTI BIBLICI (seconda parte)

Noi non siamo Dio. La terra ci precede e ci è stata data. Ciò consente di rispondere a un’accusa lanciata contro il pensiero ebraico-cristiano: è stato detto che, a partire dal racconto della Genesi che invita a soggiogare la terra (cfr Gen 1,28), verrebbe favorito lo sfruttamento selvaggio della natura presentando un’immagine dell’essere umano come dominatore e distruttore. Questa non è una corretta interpretazione della Bibbia come la intende la Chiesa. Mentre «coltivare» significa arare o lavorare un terreno, «custodire» vuol dire proteggere, curare, preservare, conservare, vigilare. Ciò implica una relazione di reciprocità responsabile tra essere umano e natura. Ogni comunità può prendere dalla bontà della terra ciò di cui ha bisogno per la propria sopravvivenza, ma ha anche il dovere di tutelarla e garantire la continuità della sua fertilità per le generazioni future. In definitiva, «del Signore è la terra» (Sal 24,1), a Lui appartiene «la terra e quanto essa contiene» (Dt 10,14). Perciò Dio nega ogni pretesa di proprietà assoluta: «Le terre non si potranno vendere per sempre, perché la terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e ospiti» (Lv 25,23).
Questa responsabilità di fronte ad una terra che è di Dio, implica che l’essere umano, dotato di intelligenza, rispetti le leggi della natura e i delicati equilibri tra gli esseri di questo mondo, perché «al suo comando sono stati creati. Li ha resi stabili nei secoli per sempre; ha fissato un decreto che non passerà» (Sal 148,5b-6). Ne consegue il fatto che la legislazione biblica si soffermi a proporre all’essere umano diverse norme, non solo in relazione agli altri esseri umani, ma anche in relazione agli altri esseri viventi: «Se vedi l’asino di tuo fratello o il suo bue caduto lungo la strada, non fingerai di non averli scorti [].
Quando, cammin facendo, troverai sopra un albero o per terra un nido d’uccelli con uccellini o uova e la madre che sta covando gli uccellini o le uova, non prenderai la madre che è con i figli» (Dt 22,4.6). In questa linea, il riposo del settimo giorno non è proposto solo per l’essere umano, ma anche «perché possano godere quiete il tuo bue e il tuo asino» (Es 23,12). Così ci rendiamo conto che la Bibbia non dà adito ad un antropocentrismo dispotico che non si interessi delle altre creature.
Mentre possiamo fare un uso responsabile delle cose, siamo chiamati a riconoscere che gli altri esseri viventi hanno un valore proprio di fronte a Dio e con la loro semplice esistenza lo benedicono e gli rendono gloria, perché il Signore gioisce nelle sue opere (cfr Sal 104,31). Proprio per la sua dignità unica e per essere dotato di intelligenza, l’essere umano è chiamato a rispettare il creato con le sue leggi interne, poiché «il Signore ha fondato la terra con sapienza» (Pr 3,19).
Oggi la Chiesa non dice in maniera semplicistica che le altre creature sono completamente subordinate al bene dell’essere umano, come se non avessero un valore in sé stesse e noi potessimo disporne a piacimento. Così i Vescovi della Germania hanno spiegato che, per le altre creature si potrebbe parlare della priorità dell’essere rispetto all’essere utili. Il Catechismo, pone in discussione in modo molto diretto e insistito quello che sarebbe un antropocentrismo deviato: ogni creatura ha la sua propria bontà e la sua propria perfezione []. Le varie creature, volute nel loro proprio essere, riflettono, ognuna a suo modo, un raggio dell’infinita sapienza e bontà di Dio. Per questo l’uomo deve rispettare la bontà propria di ogni creatura, per evitare un uso disordinato delle cose.
Nel racconto di Caino e Abele, vediamo che la gelosia ha spinto Caino a compiere l’estrema ingiustizia contro suo fratello. Ciò a sua volta ha causato una rottura della relazione tra Caino e Dio e tra Caino e la terra, dalla quale fu esiliato. Questo passaggio è sintetizzato nel drammatico colloquio tra Dio e Caino. Dio chiede: «Dov’è Abele, tuo fratello?». Caino dice di non saperlo e Dio insiste: «Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo! Ora sii maledetto, lontano da [questo] suolo» (Gen 4,9-11). Trascurare l’impegno di coltivare e mantenere una relazione corretta con il prossimo, verso il quale ho il dovere della cura e della custodia, distrugge la mia relazione interiore con me stesso, con gli altri, con Dio e con la terra. Quando tutte queste relazioni sono trascurate, quando la giustizia non abita più sulla terra, la Bibbia ci dice che tutta la vita è in pericolo. Questo è ciò che ci insegna il racconto di Noè, quando Dio minaccia di spazzare via l’umanità per la sua persistente incapacità di vivere all’altezza delle esigenze della giustizia e della pace: «È venuta per me la fine di ogni uomo, perché la terra, per causa loro, è piena di violenza» (Gen 6,13). In questi racconti così antichi, ricchi di profondo simbolismo, era già contenuta una convinzione oggi sentita: che tutto è in relazione, e che la cura autentica della nostra stessa vita e delle nostre relazioni con la natura è inseparabile dalla fraternità, dalla giustizia e dalla fedeltà nei confronti degli altri.
Più che parlare di rispettare la natura impariamo a farlo ogni giorno con dei piccoli gesti. Che le nostre azioni accompagnino le nostre parole.

 

 

RIFLESSIONE DEL PARROCO

  1. LA SAPIENZA DEI RACCONTI BIBLICI (prima parte)

Ci chiediamo adesso che cosa dicono i grandi racconti biblici sul rapporto dell’essere umano con il mondo. Nel primo racconto dell’opera creatrice nel libro della Genesi, il piano di Dio include la creazione dell’umanità. Dopo la creazione dell’uomo e della donna, si dice che «Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona» (Gen 1,31). La Bibbia insegna che, ogni essere umano è creato per amore, fatto ad immagine e somiglianza di Dio (cfr Gen 1,26). Questa affermazione ci mostra l’immensa dignità di ogni persona umana, che non è soltanto qualche cosa, ma qualcuno. È capace di conoscersi, di possedersi, di liberamente donarsi e di entrare in comunione con altre persone. San Giovanni Paolo II, ha ricordato come l’amore del tutto speciale che, il Creatore ha per ogni essere umano gli conferisce una dignità infinita. Coloro che s’impegnano nella difesa della dignità delle persone possono trovare nella fede cristiana le ragioni più profonde per tale impegno. Che meravigliosa certezza è sapere che la vita di ogni persona non si perde in un disperante caos, in un mondo governato dalla pura casualità o da cicli che si ripetono senza senso! Il Creatore può dire a ciascuno di noi: «Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto» (Ger 1,5). Siamo stati concepiti nel cuore di Dio e quindi ciascuno di noi è il frutto di un pensiero di Dio. Ciascuno di noi è voluto, ciascuno è amato, ciascuno è necessario.

Questi racconti suggeriscono che l’esistenza umana si basa su tre relazioni fondamentali strettamente connesse: la relazione con Dio, quella con il prossimo e quella con la terra. Secondo la Bibbia, queste tre relazioni vitali sono rotte, non solo fuori, ma anche dentro di noi. Questa rottura è il peccato. L’armonia tra il Creatore, l’umanità e tutto il creato è stata distrutta per avere noi preteso di prendere il posto di Dio, rifiutando di riconoscerci come creature limitate. Questo fatto ha distorto anche la natura del mandato di soggiogare la terra e di coltivarla e custodirla. Come risultato, la relazione originariamente armonica tra essere umano e natura si è trasformato in un conflitto. Per questo, è significativo che l’armonia che san Francesco d’Assisi viveva con tutte le creature sia stata interpretata come una guarigione di tale rottura. Oggi il peccato si manifesta con tutta la sua forza di distruzione nelle guerre, nelle diverse forme di violenza e maltrattamento, nell’abbandono dei più fragili, negli attacchi contro la natura.

Mi sento voluto, amato e protetto da Dio ?

RIFLESSIONE DEL PARROCO

Con questo numero del foglietto “Insieme” vi propongo alcune riflessioni a partire dal enciclica “Laudato si’ ” di Papa Francesco sulla cura della casa comune.
Credo ci aiuti molto nella nostra riflessione questo testo. Vi invito a leggerlo in famiglia e a commentarlo insieme.
CAPITOLO SECONDO IL VANGELO DELLA CREAZIONE
La scienza e la religione, che forniscono approcci diversi alla realtà, possono entrare in un dialogo intenso e produttivo per entrambe.

I. LA LUCE CHE LA FEDE OFFRE
Se teniamo conto la complessità della crisi ecologica e delle sue molteplici cause, dovremmo riconoscere che, le soluzioni non possono venire da un unico modo di interpretare e trasformare la realtà. È necessario ricorrere anche alle diverse ricchezze culturali dei popoli, all’arte e alla poesia, alla vita interiore e alla spiritualità. Se si vuole veramente costruire un’ecologia che ci permetta di riparare tutto ciò che abbiamo distrutto, allora nessun ramo delle scienze e nessuna forma di saggezza può essere trascurata, nemmeno quella religiosa con il suo linguaggio proprio.
Inoltre la Chiesa Cattolica è aperta al dialogo con il pensiero filosofico, e ciò le permette di produrre varie sintesi tra fede e ragione. Per quanto riguarda le questioni sociali, questo lo si può constatare nello sviluppo della dottrina sociale della Chiesa, chiamata ad arricchirsi sempre di più a partire dalle nuove sfide.
D’altra parte, anche se questa Enciclica si apre a un dialogo con tutti per cercare insieme cammini di liberazione, voglio mostrare fin dall’inizio come le convinzioni di fede offrano ai cristiani e in parte anche ad altri credenti, motivazioni alte per prendersi cura della natura e dei fratelli e sorelle più fragili. Se il solo fatto di essere umani muove le persone a prendersi cura dell’ambiente del quale sono parte, i cristiani, in particolare, avvertono che i loro compiti all’interno del creato, i loro doveri nei confronti della natura e del Creatore sono parte della loro fede.
Pertanto, è un bene per l’umanità e per il mondo che noi credenti riconosciamo meglio gli impegni ecologici che scaturiscono dalle nostre convinzioni.

RIFLESSIONE DEL PARROCO

Trasmettere la fede (seconda parte)

L’educazione alla fede sa adattarsi a ciascun figlio, perché gli strumenti già imparati o le ricette a volte non funzionano. I bambini hanno bisogno di simboli, di gesti, di racconti. Gli adolescenti solitamente, entrano in crisi con l’autorità e con le norme, per cui conviene stimolare le loro personali esperienze di fede e offrire loro testimonianze luminose che si impongano per la loro stessa bellezza. I genitori che vogliono accompagnare la fede dei propri figli sono attenti ai loro cambiamenti, perché sanno che l’esperienza spirituale non si impone ma si propone alla loro libertà. È fondamentale che i figli vedano in maniera concreta in cui, per i loro genitori la preghiera è realmente importante. Per questo, i momenti di preghiera in famiglia e le espressioni della pietà popolare, possono avere maggior forza evangelizzatrice di tutte le catechesi e tutti i discorsi.

L’esercizio di trasmettere ai figli la fede, nel senso di facilitare la sua espressione e la sua crescita, permette che la famiglia diventi evangelizzatrice e che, spontaneamente inizi a trasmetterla a tutti coloro che le si accostano, anche al di fuori dello stesso ambiente familiare. I figli che crescono in famiglie missionarie spesso diventano missionari, se i genitori sanno vivere questo compito in modo tale che gli altri li sentano vicini e amichevoli, così che i figli crescano in questo stile di relazione con il mondo, senza rinunciare alla propria fede e alle proprie convinzioni. Ricordiamo che Gesù stesso mangiava e beveva con i peccatori, poteva fermarsi a conversare con la samaritana e ricevere Nicodemo di notte, si lasciava ungere i piedi da una donna prostituta e non esitava a toccare i malati. Lo stesso facevano i suoi apostoli, che non erano persone sprezzanti verso gli altri, reclusi in piccoli gruppi di eletti, isolati dalla vita della gente. Mentre le autorità li perseguitavano, loro godevano della simpatia di tutto il popolo.

La famiglia si costituisce, così come soggetto dell’azione pastorale attraverso l’annuncio esplicito del Vangelo e l’eredità di molteplici forme di testimonianza: la solidarietà verso i poveri, l’apertura alla diversità delle persone, la custodia del creato, la solidarietà morale e materiale verso le altre famiglie soprattutto verso le più bisognose, l’impegno per la promozione del bene comune anche mediante la trasformazione delle strutture sociali ingiuste, a partire dal territorio nel quale essa vive, praticando le opere di misericordia corporale e spirituale. Ciò va collocato nel quadro della convinzione più preziosa dei cristiani: l’amore del Padre che ci sostiene e ci fa crescere, manifestato nel dono totale di Gesù, vivo tra noi, che ci rende capaci di affrontare uniti tutte le tempeste e tutte le fasi della vita. Tutti dovremmo poter dire, a partire dal vissuto nelle nostre famiglie: «Noi abbiamo creduto all’amore che Dio ha per noi» (1 Gv 4,16). Solo a partire da questa esperienza, la pastorale familiare potrà ottenere che le famiglie siano al tempo stesso Chiese domestiche e fermento evangelizzatore nella società.

Con il tema di oggi abbiamo finito Amoris laetitia di Papa Francesco.