RIFLESSIONE DEL PARROCO

Gli anziani
«Non gettarmi via nel tempo della vecchiaia, non abbandonarmi quando declinano le mie forze» (Sal 71,9). È il grido dell’anziano, che teme l’oblio e il disprezzo. Così come Dio ci invita ad essere suoi strumenti per ascoltare la supplica dei poveri, Egli attende anche da noi che ascoltiamo il grido degli anziani. Questo interpella le famiglie e le comunità, perché la Chiesa non può e non vuole conformarsi ad una mentalità di insofferenza, e tanto meno di indifferenza e di disprezzo, nei confronti della vecchiaia. Dobbiamo risvegliare il senso collettivo di gratitudine, di apprezzamento, di ospitalità, che facciano sentire l’anziano parte viva della sua comunità. Gli anziani sono uomini e donne, padri e madri che sono stati prima di noi sulla nostra stessa strada, nella nostra stessa casa, nella nostra quotidiana battaglia per una vita degna. Perciò, come vorrei una Chiesa che sfida la cultura dello scarto con la gioia traboccante di un nuovo abbraccio tra i giovani e gli anziani!
San Giovanni Paolo II ci ha invitato a prestare attenzione al posto dell’anziano nella famiglia, perché vi sono culture che in seguito ad un disordinato sviluppo industriale ed urbanistico, hanno condotto e continuano a condurre gli anziani a forme inaccettabili di emarginazione. Gli anziani aiutano a percepire la continuità delle generazioni, con il carisma di ricucire gli strappi. Molte volte sono i nonni che assicurano la trasmissione dei grandi valori ai loro nipoti e molte persone, possono constatare che proprio ai nonni debbono la loro iniziazione alla vita cristiana. Le loro parole, le loro carezze o la loro sola presenza aiutano i bambini a riconoscere che la storia non inizia con loro, che sono eredi di un lungo cammino e che bisogna rispettare il retroterra che ci precede. Coloro che rompono i legami con la storia avranno difficoltà a tessere relazioni stabili e a riconoscere che non sono i padroni della realtà. Dunque, l’attenzione agli anziani fa la differenza di una civiltà. In una civiltà c’è attenzione all’anziano? C’è posto per l’anziano? Questa civiltà andrà avanti se saprà rispettare la saggezza, la sapienza degli anziani.
La mancanza di memoria storica è un grave difetto della nostra società. È la mentalità immatura dell’“ormai è passato”. Conoscere e poter prendere posizione di fronte agli avvenimenti passati è l’unica possibilità di costruire un futuro che abbia senso. Non si può educare senza memoria: «Richiamate alla memoria quei primi giorni» (Eb 10,32). I racconti degli anziani fanno molto bene ai bambini e ai giovani, poiché li mettono in collegamento con la storia vissuta sia della famiglia sia del quartiere e del Paese.
Una famiglia che non rispetta e non ha cura dei suoi nonni, che sono la sua memoria viva, è una famiglia disintegrata; invece una famiglia che ricorda è una famiglia che ha futuro.
Pertanto, in una civiltà in cui non c’è posto per gli anziani o sono scartati perché creano problemi, questa società porta con sé il virus della morte, dal momento che si strappa dalle proprie radici. Il fenomeno contemporaneo del sentirsi orfani, in termini di discontinuità, sradicamento e caduta delle certezze che danno forma alla vita, ci sfida a fare delle nostre famiglie un luogo in cui i bambini possano radicarsi nel terreno di una storia collettiva.

Essere fratelli
La relazione tra i fratelli si approfondisce con il passare del tempo, il legame di fraternità che si forma in famiglia tra i figli, se avviene in un clima di educazione all’apertura agli altri, è la grande scuola di libertà e di pace. In famiglia, tra fratelli si impara la convivenza umana. Forse non sempre ne siamo consapevoli, ma è proprio la famiglia che introduce la fraternità nel mondo! A partire da questa prima esperienza di fraternità, nutrita dagli affetti e dall’educazione familiare, lo stile della fraternità si irradia come una promessa sull’intera società.
Crescere tra fratelli offre la bella esperienza di una cura reciproca, di aiutare e di essere aiutati. Perciò la fraternità in famiglia risplende in modo speciale quando vediamo la premura, la pazienza, l’affetto di cui vengono circondati: il fratellino o la sorellina più deboli, malati, o portatori di handicap. Bisogna riconoscere che avere un fratello, una sorella che ti vuole bene è un’esperienza forte, impagabile, insostituibile, però occorre insegnare con pazienza ai figli a trattarsi da fratelli. Tale tirocinio, a volte faticoso, è una vera scuola di socialità. In alcuni Paesi esiste una forte tendenza ad avere un solo figlio, per cui l’esperienza di essere fratello comincia ad essere poco comune. Nel caso in cui non sia stato possibile avere più di un figlio, si dovrà trovare il modo di far sì che il bambino non cresca solo o isolato.

 

 

 

 

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La vita nella famiglia in senso ampio

Il piccolo nucleo familiare non dovrebbe isolarsi dalla famiglia allargata, dove ci sono i genitori, gli zii, i cugini ed anche i vicini. In tale famiglia larga ci possono essere alcuni che hanno bisogno di aiuto o almeno di compagnia e di gesti di affetto, o possono esserci grandi sofferenze che hanno bisogno di un conforto.

Essere figli

In primo luogo parliamo dei propri genitori. Gesù ricordava ai farisei che l’abbandono dei genitori è contrario alla Legge di Dio (cfr Mc 7,8-13). A nessuno fa bene perdere la coscienza di essere figlio. In ogni persona, anche se uno diventa adulto, o anziano, anche se diventa genitore, se occupa un posto di responsabilità, al di sotto di tutto questo rimane l’identità di figlio. Tutti siamo figli. E questo ci riporta sempre al fatto che la vita, non ce la siamo data noi ma l’abbiamo ricevuta. Il grande dono della vita è il primo regalo che abbiamo ricevuto.

Per questo il quarto comandamento chiede ai figli [] di onorare il padre e la madre (cfr Es 20,12). Questo comandamento viene subito dopo quelli che riguardano Dio stesso. Infatti contiene qualcosa di sacro, qualcosa di divino, qualcosa che sta alla radice di ogni altro genere di rispetto fra gli uomini. Nella formulazione biblica del quarto comandamento si aggiunge: “perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che il Signore tuo Dio ti dà”. Il legame virtuoso tra le generazioni è garanzia di futuro, ed è garanzia di una storia davvero umana. Una società di figli che non onorano i genitori è una società senza onore []. È una società destinata a riempirsi di giovani aridi e avidi.

Ma c’è anche l’altra faccia della medaglia: «L’uomo lascerà suo padre e sua madre» (Gen 2,24), afferma la Parola di Dio. Questo a volte non si realizza e il matrimonio non viene assunto fino in fondo perché non si è compiuta tale rinuncia e tale dedizione. I genitori non devono essere abbandonati né trascurati, tuttavia, per unirsi in matrimonio occorre lasciarli, in modo che la nuova casa sia la dimora, la protezione, la piattaforma e il progetto, e sia possibile diventare realmente «una sola carne» (ibid.). In alcuni matrimoni capita che si nascondano molte cose al proprio coniuge, che invece si dicono ai propri genitori, al punto che contano di più le opinioni dei genitori che i sentimenti e le opinioni del coniuge. Non è facile sostenere questa situazione per molto tempo, ed essa è possibile solo provvisoriamente, mentre si creano le condizioni per crescere nella fiducia e nel dialogo. Il matrimonio sfida a trovare un nuovo modo di essere figli.

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Discernere il corpo
 In questa linea, è opportuno prendere molto sul serio un testo biblico che si è soliti interpretare fuori del suo contesto, o in una maniera molto generale, per cui si può disattendere il suo significato più immediato e diretto, che è marcatamente sociale. Si tratta di 1 Cor 11,17-34, dove San Paolo affronta una situazione vergognosa della comunità. In quel contesto alcune persone abbienti tendevano a discriminare quelle povere, e questo si verificava persino nell’incontro conviviale che accompagnava la celebrazione dell’Eucaristia. Mentre i ricchi godevano dei loro cibi prelibati, i poveri facevano da spettatori ed erano affamati: «così uno ha fame, l’altro è ubriaco. Non avete forse le vostre case per mangiare e per bere? O volete gettare il disprezzo sulla Chiesa di Dio e umiliare chi non ha niente?» (vv. 21-22).
L’Eucaristia esige l’integrazione nell’unico corpo ecclesiale. Chi si accosta al Corpo e al Sangue di Cristo non può nello stesso tempo offendere quel medesimo Corpo operando scandalose divisioni e discriminazioni tra le sue membra. Si tratta infatti di “discernere” il Corpo del Signore, di riconoscerlo con fede e carità sia nei segni sacramentali sia nella comunità, altrimenti si mangia e si beve la propria condanna (cfr v. 29). Questo testo biblico è un serio avvertimento per le famiglie che si richiudono nella loro propria comodità e si isolano, ma più specificamente per le famiglie che restano indifferenti davanti alle sofferenze delle famiglie povere e più bisognose.
La celebrazione eucaristica diventa così un costante appello rivolto a ciascuno perché «esamini sé stesso» (v. 28), al fine di aprire le porte della propria famiglia ad una maggior comunione con coloro che sono scartati dalla società e dunque, ricevere davvero il Sacramento dell’amore eucaristico che fa di noi un solo corpo. Non bisogna dimenticare che la “mistica” del Sacramento ha un carattere sociale. Quando coloro che si comunicano, non accettano di lasciarsi spingere verso un impegno con i poveri e i sofferenti o acconsentono a diverse forme di divisione, di disprezzo e di ingiustizia, l’Eucaristia è ricevuta indegnamente. Invece, le famiglie che si nutrono dell’Eucaristia con la giusta disposizione, rafforzano il loro desiderio di fraternità, il loro senso sociale e il loro impegno con i bisognosi.

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Fecondità allargata

Molte coppie di sposi non possono avere figli. Sappiamo quanta sofferenza questo comporti. D’altra parte, sappiamo pure che il matrimonio non è stato istituito soltanto per la procreazione. E perciò anche se la prole, molto spesso e vivamente desiderata, non c’è, il matrimonio perdura come comunità e comunione di tutta la vita e conserva il suo valore e la sua indissolubilità. Inoltre la maternità non è una realtà esclusivamente biologica, ma si esprime in diversi modi.
L’adozione è una via per realizzare la maternità e la paternità in un modo molto generoso, e desidero incoraggiare quanti non possono avere figli ad allargare e aprire il loro amore coniugale per accogliere coloro che sono privi di un adeguato contesto familiare. Non si pentiranno mai di essere stati generosi. Adottare, è l’atto d’amore di donare una famiglia a chi non l’ha. Coloro che affrontano la sfida di adottare e accolgono una persona in modo incondizionato e gratuito, diventano mediazione dell’amore di Dio che afferma: “Anche se tua madre ti dimenticasse, io invece non ti dimenticherò mai” (cfr Is 49,15).
La scelta dell’adozione e dell’affido esprime una particolare fecondità dell’esperienza coniugale, al di là dei casi in cui è dolorosamente segnata dalla sterilità. A fronte di quelle situazioni in cui il figlio è preteso a qualsiasi costo, come diritto del proprio completamento, l’adozione e l’affido rettamente intesi, mostrano un aspetto importante della genitorialità e della figliolanza, in quanto aiutano a riconoscere che i figli sia naturali sia adottivi o affidati, sono altro da sé ed occorre accoglierli, amarli, prendersene cura e non solo metterli al mondo. L’interesse prevalente del bambino dovrebbe sempre ispirare le decisioni sull’adozione e l’affido.
E’ opportuno anche ricordare che la procreazione e l’adozione non sono gli unici modi di vivere la fecondità dell’amore. Anche la famiglia con molti figli è chiamata a lasciare la sua impronta nella società dove è inserita, per sviluppare altre forme di fecondità che sono come il prolungamento dell’amore che la sostiene. Le famiglie cristiane non dimentichino che la fede non ci toglie dal mondo, ma ci inserisce più profondamente in esso. Ognuno di noi, infatti, svolge un ruolo speciale nella preparazione della venuta del Regno di Dio. La famiglia, non deve pensare sé stessa come un recinto chiamato a proteggersi dalla società. Non rimane ad aspettare, ma esce da sé nella ricerca solidale. In tal modo diventa un luogo d’integrazione della persona con la società e un punto di unione tra il pubblico e il privato. I coniugi hanno bisogno di acquisire una chiara e convinta consapevolezza riguardo ai loro doveri sociali. Quando questo accade, l’affetto che li unisce non viene meno, ma si riempie di nuova luce.
Una coppia di sposi che sperimenta la forza dell’amore, sa che tale amore è chiamato a sanare le ferite degli abbandonati, a instaurare la cultura dell’incontro, a lottare per la giustizia.          Vogliamo provarci?

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Di fatto, le madri sono l’antidoto più forte al dilagare dell’individualismo egoistico. [] Sono esse a testimoniare la bellezza della vita. Senza dubbio, una società senza madri sarebbe una società disumana, perché le madri sanno testimoniare sempre, anche nei momenti peggiori, la tenerezza, la dedizione, la forza morale. Le madri trasmettono spesso anche il senso più profondo della pratica religiosa: nelle prime preghiere, nei primi gesti di devozione che un bambino impara []. Senza le madri, non solo non ci sarebbero nuovi fedeli, ma la fede perderebbe buona parte del suo calore semplice e profondo. [] Carissime mamme, grazie, grazie per ciò che siete nella famiglia e per ciò che date alla Chiesa e al mondo.
La madre, che protegge il bambino con la sua tenerezza e la sua compassione, lo aiuta a far emergere la fiducia, a sperimentare che il mondo è un luogo buono che lo accoglie, e questo permette di sviluppare un’autostima che favorisce la capacità di intimità e l’empatia. La figura paterna, d’altra parte, aiuta a percepire i limiti della realtà e si caratterizza maggiormente per l’orientamento, per l’uscita verso il mondo più ampio e ricco di sfide, per l’invito allo sforzo e alla lotta. Un padre con una chiara e felice identità maschile, che a sua volta unisca nel suo tratto verso la moglie l’affetto e l’accoglienza, è tanto necessario quanto le cure materne. Vi sono ruoli e compiti flessibili, che si adattano alle circostanze concrete di ogni famiglia, ma la presenza chiara e ben definita delle due figure, femminile e maschile, crea l’ambiente più adatto alla maturazione del bambino.
Si dice che la nostra società è una “società senza padri”. Nella cultura occidentale, la figura del padre sarebbe simbolicamente assente, distorta, sbiadita. Persino la virilità sembrerebbe messa in discussione. Si è verificata una comprensibile confusione, perché in un primo momento, la cosa è stata percepita come una liberazione: liberazione dal padre-padrone, dal padre come rappresentante della legge che si impone dall’esterno, dal padre come censore della felicità dei figli e ostacolo all’emancipazione e all’autonomia dei giovani. Talvolta in alcune case regnava in passato l’autoritarismo, in certi casi addirittura la sopraffazione. Tuttavia, come spesso avviene, si passa da un estremo all’altro. Il problema dei nostri giorni non sembra essere più tanto la presenza invadente dei padri, quanto piuttosto la loro assenza, la loro latitanza. I padri sono talora così concentrati su sé stessi e sul proprio lavoro e alle volte sulle proprie realizzazioni individuali, da dimenticare anche la famiglia: e lasciano soli i piccoli e i giovani. La presenza paterna, e pertanto la sua autorità, risulta intaccata anche dal tempo sempre maggiore che si dedica ai mezzi di comunicazione e alla tecnologia dello svago. Inoltre oggi, l’autorità è vista con sospetto e gli adulti sono duramente messi in discussione. Loro stessi abbandonano le certezze e perciò non offrono ai figli orientamenti sicuri e ben fondati. Non è sano che si scambino i ruoli tra genitori e figli: ciò danneggia l’adeguato processo di maturazione che i bambini hanno bisogno di compiere e nega loro un amore capace di orientarli e che li aiuti a maturare.
Dio pone il padre nella famiglia perché, con le preziose caratteristiche della sua mascolinità, sia vicino alla moglie, per condividere tutto, gioie e dolori, fatiche e speranze. E [perché] sia vicino ai figli nella loro crescita: quando giocano e quando si impegnano, quando sono spensierati e quando sono angosciati, quando si esprimono e quando sono taciturni, quando osano e quando hanno paura, quando fanno un passo sbagliato e quando ritrovano la strada; padre presente, sempre.
Dire presente non è lo stesso che dire controllore. Perché i padri troppo controllori annullano i figli. Alcuni padri si sentono inutili o non necessari, ma la verità è che i figli hanno bisogno di trovare un padre che li aspetta quando ritornano dai loro fallimenti. Faranno di tutto per non ammetterlo, per non darlo a vedere, ma ne hanno bisogno. Non è bene che i bambini rimangano senza padri e così smettano di essere bambini prima del tempo.

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Amore di madre e di padre
I bambini, appena nati, incominciano a ricevere in dono, assieme al nutrimento e le cure, la conferma delle qualità spirituali dell’amore. Gli atti dell’amore passano attraverso il dono del nome personale, la condivisione del linguaggio, le intenzioni degli sguardi, le illuminazioni dei sorrisi. Imparano così che la bellezza del legame fra gli esseri umani punta alla nostra anima, cerca la nostra libertà, accetta la diversità dell’altro, lo riconosce e lo rispetta come interlocutore. E questo è amore, che porta una scintilla di quello di Dio! Ogni bambino ha il diritto di ricevere l’amore di una madre e di un padre, entrambi necessari per la sua maturazione integra e armoniosa.
Come hanno affermato i Vescovi dell’Australia, entrambi contribuiscono, ciascuno in una maniera diversa, alla crescita di un bambino. Rispettare la dignità di un bambino significa affermare la sua necessità e il suo diritto naturale ad avere una madre e un padre. Non si tratta solo dell’amore del padre e della madre presi separatamente, ma anche dell’amore tra di loro, percepito come fonte della propria esistenza, come nido che accoglie e come fondamento della famiglia. Diversamente, il figlio sembra ridursi ad un possesso capriccioso. Entrambi, uomo e donna, padre e madre, sono cooperatori dell’amore di Dio Creatore e quasi suoi interpreti. Mostrano ai loro figli il volto materno e il volto paterno del Signore. Inoltre essi insieme insegnano il valore della reciprocità, dell’incontro tra differenti, dove ciascuno apporta la sua propria identità e sa anche ricevere dall’altro. Se per qualche ragione inevitabile manca uno dei due, è importante cercare qualche maniera per compensarlo, per favorire l’adeguata maturazione del figlio.
Il sentimento di essere orfani che sperimentano oggi molti bambini e giovani è più profondo di quanto pensiamo. Oggi riconosciamo come pienamente legittimo, e anche auspicabile, che le donne vogliano studiare, lavorare, sviluppare le proprie capacità e avere obiettivi personali. Ma nello stesso tempo non possiamo ignorare la necessità che hanno i bambini della presenza materna, specialmente nei primi mesi di vita. La realtà è che la donna sta davanti all’uomo come madre, soggetto della nuova vita umana che in essa è concepita e si sviluppa, e da essa nasce al mondo. Il diminuire della presenza materna con le sue qualità femminili costituisce un rischio grave per la nostra terra.
Apprezzo, dice il Papa, il femminismo quando non pretende l’uniformità né la negazione della maternità. Perché la grandezza della donna implica tutti i diritti che derivano dalla sua inalienabile dignità umana, ma anche dal suo genio femminile, indispensabile per la società. Le sue capacità specificamente femminili – in particolare la maternità – le conferiscono anche dei doveri, perché il suo essere donna comporta anche una missione peculiare su questa terra, che la società deve proteggere e preservare per il bene di tutti.

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L’amore nell’attesa propria della gravidanza
La gravidanza è un periodo difficile, ma anche un tempo meraviglioso. La madre collabora con Dio perché si produca il miracolo di una nuova vita. La maternità proviene da una particolare potenzialità dell’organismo femminile, che con peculiarità creatrice serve al concepimento e alla generazione dell’essere umano.
Ogni donna partecipa del mistero della creazione, che si rinnova nella generazione umana. Come dice il Salmo: «Mi hai tessuto nel grembo di mia madre» (139,13). Ogni bambino che si forma all’interno di sua madre è un progetto eterno di Dio
Padre e del suo amore eterno: Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato (Ger 1,5).
Ogni bambino sta da sempre nel cuore di Dio, e nel momento in cui viene concepito si compie il sogno eterno del Creatore. Pensiamo quanto vale l’embrione dall’istante in cui è concepito! Bisogna guardarlo con lo stesso sguardo d’amore del Padre, che vede oltre ogni apparenza. La donna in gravidanza può partecipare a tale progetto di Dio sognando suo figlio: tutte le mamme e tutti i papà hanno sognato il loro figlio per nove mesi. […] Non è possibile una famiglia senza il sogno. Quando in una famiglia si perde la capacità di sognare, i bambini non crescono e l’amore non cresce, la vita si affievolisce e si spegne. All’interno di questo sogno, per una coppia di coniugi cristiani, appare necessariamente il Battesimo. I genitori lo preparano con la loro preghiera, affidando il figlio a Gesù già prima della sua nascita.
Con i progressi delle scienze oggi si può sapere in anticipo che colore avrà i capelli il bambino e di quali malattie potrà soffrire in futuro, perché tutte le caratteristiche somatiche di quella persona sono inscritte nel suo codice genetico già nello stadio embrionale. Ma solo il Padre che lo ha creato lo conosce pienamente. Solo Lui conosce ciò che è più prezioso, ciò che è più importante, perché Egli sa chi è quel bambino, qual è la sua identità più profonda. La madre che lo porta nel suo grembo, ha bisogno di chiedere luce a Dio per poter conoscere in profondità il proprio figlio e per attenderlo veramente. Alcuni genitori sentono che il loro figlio non arriva nel momento migliore. Hanno bisogno di chiedere al Signore che li guarisca e li fortifichi per accettare pienamente quel figlio, per poterlo attendere con il cuore. È importante che quel bambino si senta atteso. Egli non è un complemento o una soluzione per un’aspirazione personale. È un essere umano, con un valore immenso e non può venire usato per il proprio beneficio. Dunque, non è importante se questa nuova vita ti servirà o no, se possiede caratteristiche che ti piacciono o no, se risponde o no ai tuoi progetti e ai tuoi sogni. Perché i figli sono un dono. Ciascuno è unico e irripetibile […]. Un figlio lo si ama perché è figlio: non perché è bello, o perché è così o cosa; no, perché è figlio! Non perché la pensa come me, o incarna i miei desideri. Un figlio è un figlio. L’amore dei genitori è strumento dell’amore di Dio Padre che attende con tenerezza la nascita di ogni bambino, lo accetta senza condizioni e lo accoglie gratuitamente.
Ad ogni donna in gravidanza desidero chiedere con affetto: abbi cura della tua gioia, che nulla ti tolga la gioia interiore della maternità. Quel bambino merita la tua gioia. Non permettere che le paure, le preoccupazioni, i commenti altrui o i problemi spengano la felicità di essere strumento di Dio per portare al mondo una nuova vita. Occupati di quello che c’è da fare o preparare, ma senza ossessionarti, e loda come Maria: «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva» (Lc 1,46-48). Vivi con sereno entusiasmo in mezzo ai tuoi disagi, e prega il Signore che custodisca la tua gioia perché tu possa trasmetterla al tuo bambino.

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Cari fratelli e sorelle, dopo aver finito il capitolo quattro dell’Esortazione apostolica post sinodale del Papa Francesco Amoris laetitia, vi propongo adesso il capitolo seguente. Facciamo tesoro di tutto quello che leggeremo.

CAPITOLO QUINTO: L’AMORE CHE DIVENTA FECONDO

L’amore dà sempre vita. Per questo, l’amore coniugale non si esaurisce all’interno della coppia []. I coniugi, mentre si donano tra loro, donano al di là di sé stessi la realtà del figlio, riflesso vivente del loro amore, segno permanente della unità coniugale e sintesi viva ed indissociabile del loro essere padre e madre.

Accogliere una nuova vita

La famiglia è l’ambito non solo della generazione, ma anche dell’accoglienza della vita che arriva come dono di Dio. Ogni nuova vita ci permette di scoprire la dimensione più gratuita dell’amore, che non finisce mai di stupirci. È la bellezza di essere amati prima: i figli sono amati prima che arrivino. Questo, riflette il primato dell’amore di Dio che prende sempre l’iniziativa, perché i figli sono amati prima di aver fatto qualsiasi cosa per meritarlo. Tuttavia, tanti bambini fin dall’inizio sono rifiutati, abbandonati, derubati della loro infanzia e del loro futuro. Qualcuno osa dire, quasi per giustificarsi, che è stato un errore farli venire al mondo. Questo è vergognoso! [] Che ne facciamo delle solenni dichiarazioni dei diritti dell’uomo e dei diritti del bambino, se poi puniamo i bambini per gli errori degli adulti? Se un bambino viene al mondo in circostanze non desiderate, i genitori o gli altri membri della famiglia, devono fare tutto il possibile per accettarlo come dono di Dio e per assumere la responsabilità di accoglierlo con apertura e affetto. Perché quando si tratta dei bambini che vengono al mondo, nessun sacrificio degli adulti sarà giudicato troppo costoso o troppo grande, pur di evitare che un bambino pensi di essere uno sbaglio, di non valere niente e di essere abbandonato alle ferite della vita e alla prepotenza degli uomini. Il dono di un nuovo figlio che il Signore affida a papà e mamma, ha inizio con l’accoglienza, prosegue con la custodia lungo la vita terrena e ha come destino finale la gioia della vita eterna. Uno sguardo sereno verso il compimento ultimo della persona umana renderà i genitori ancora più consapevoli del prezioso dono loro affidato: ad essi infatti Dio concede di scegliere il nome col quale Egli chiamerà ogni suo figlio per l’eternità.

Le famiglie numerose sono una gioia per la Chiesa. In esse l’amore esprime la sua fecondità generosa. Questo non implica dimenticare una sana avvertenza di san Giovanni Paolo II, quando spiegava che la paternità responsabile non è procreazione illimitata o mancanza di consapevolezza circa il significato di allevare figli, ma piuttosto la possibilità data alle coppie di utilizzare la loro inviolabile libertà saggiamente e responsabilmente, tenendo presente le realtà sociali e demografiche così come la propria situazione e i legittimi desideri.

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La trasformazione dell’amore
Il prolungarsi della vita fa sì che si verifichi qualcosa che non era comune in altri tempi: la relazione intima e la reciproca appartenenza, devono conservarsi per quattro, cinque o sei decenni e questo comporta la necessità di ritornare a scegliersi a più riprese. Forse il coniuge non è più attratto da un desiderio sessuale intenso che lo muova verso l’altra persona, però sente il piacere di appartenerle e che essa gli appartenga, di sapere che non è solo, di aver un “complice” che conosce tutto della sua vita e della sua storia e che condivide tutto. È il compagno nel cammino della vita con cui si possono affrontare le difficoltà e godere le cose belle. Anche questo genera una soddisfazione che accompagna il desiderio proprio dell’amore coniugale. Non possiamo prometterci di avere gli stessi sentimenti per tutta la vita. Ma possiamo certamente avere un progetto comune stabile, impegnarci ad amarci e a vivere uniti finché la morte non ci separi, e vivere sempre una ricca intimità. L’amore che ci promettiamo supera ogni emozione, sentimento o stato d’animo, sebbene possa includerli. È un voler bene più profondo, con una decisione del cuore che coinvolge tutta l’esistenza. Così, in mezzo ad un conflitto non risolto, e benché molti sentimenti confusi si aggirino nel cuore, si mantiene viva ogni giorno la decisione di amare, di appartenersi, di condividere la vita intera e di continuare ad amarsi e perdonarsi. Ciascuno dei due, compie un cammino di crescita e di cambiamento personale. Nel corso di tale cammino, l’amore celebra ogni passo e ogni nuova tappa.
Nella storia di un matrimonio, l’aspetto fisico muta, ma questo non è un motivo perché l’attrazione amorosa venga meno. Ci si innamora di una persona intera con una identità propria, non solo di un corpo, sebbene tale corpo, al di là del logorio del tempo, non finisca mai di esprimere in qualche modo quell’identità personale che ha conquistato il cuore. Quando gli altri non possono più riconoscere la bellezza di tale identità, il coniuge innamorato continua ad essere capace di percepirla con l’istinto dell’amore e l’affetto non scompare. Riafferma la sua decisione di appartenere ad essa, la sceglie nuovamente ed esprime tale scelta attraverso una vicinanza fedele e colma di tenerezza. La nobiltà della sua decisione per essa, essendo intensa e profonda, risveglia una nuova forma di emozione nel compimento della missione coniugale. Perché l’emozione provocata da un altro essere umano come persona [], non tende di per sé all’atto coniugale. Acquisisce altre espressioni sensibili perché l’amore è un’unica realtà, seppur con diverse dimensioni; di volta in volta, l’una o l’altra dimensione può emergere maggiormente.
Il vincolo trova nuove modalità ed esige la decisione di riprendere sempre nuovamente a stabilirlo. Non solo però per conservarlo, ma per farlo crescere. È il cammino di costruirsi giorno per giorno. Ma nulla di questo è possibile se non si invoca lo Spirito Santo, se non si grida ogni giorno chiedendo la sua grazia, se non si cerca la sua forza soprannaturale, se non gli si richiede ansiosamente che effonda il suo fuoco sopra il nostro amore per rafforzarlo, orientarlo e trasformarlo in ogni nuova situazione.

 

 

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Matrimonio e verginità

Molte persone che vivono senza sposarsi non soltanto sono dedite alla propria famiglia d’origine, ma spesso rendono grandi servizi nella loro cerchia di amici, nella comunità ecclesiale e nella vita professionale. [] Molti, poi, mettono i loro talenti a servizio della comunità cristiana nel segno della carità e del volontariato. Vi sono poi coloro che, non si sposano perché consacrano la vita per amore di Cristo e dei fratelli.

La verginità è una forma d’amore. Come segno, ci ricorda la premura per il Regno, l’urgenza di dedicarsi senza riserve al servizio dell’evangelizzazione, ed è un riflesso della pienezza del Cielo, dove «non si prende né moglie né marito» (Mt 22,30).

San Giovanni Paolo II, ha affermato che i testi biblici non forniscono motivo per sostenere né l’“inferiorità” del matrimonio, né la “superiorità” della verginità o del celibato a motivo dell’astinenza sessuale. Più che parlare della superiorità della verginità sotto ogni profilo, sembra appropriato mostrare che i diversi stati di vita sono complementari, in modo tale che uno può essere più perfetto per qualche aspetto e l’altro può esserlo da un altro punto di vista. Alessandro di Hales, per esempio, affermava che in un senso il matrimonio può considerarsi superiore agli altri sacramenti: perché simboleggia qualcosa di così grande come l’unione di Cristo con la Chiesa o l’unione della natura divina con quella umana.

Pertanto, non si tratta di sminuire il valore del matrimonio a vantaggio della continenza e non vi è invece alcuna base per una supposta contrapposizione []. Se, stando a una certa tradizione teologica, si parla dello stato di perfezione, lo si fa non a motivo della continenza stessa, ma riguardo all’insieme della vita fondata sui consigli evangelici. Tuttavia una persona sposata può vivere la carità in altissimo grado. Dunque perviene a quella perfezione che scaturisce dalla carità, mediante la fedeltà allo spirito di quei consigli. Tale perfezione è possibile e accessibile ad ogni uomo.

La verginità, ha il valore simbolico dell’amore che non ha la necessità di possedere l’altro, e riflette in tal modo la libertà del Regno dei Cieli. È un invito agli sposi perché vivano il loro amore coniugale nella prospettiva dell’amore definitivo a Cristo, come un cammino comune verso la pienezza del Regno. A sua volta, l’amore degli sposi presenta altri valori simbolici: da una parte, è un peculiare riflesso della Trinità.

Infatti la Trinità è unità piena, nella quale però esiste anche la distinzione. Inoltre, la famiglia è un segno cristologico, perché manifesta la vicinanza di Dio, che condivide la vita dell’essere umano unendosi ad esso nell’Incarnazione, nella Croce e nella Risurrezione: ciascun coniuge diventa “una sola carne” con l’altro e offre sé stesso per condividerlo interamente con l’altro sino alla fine. Mentre la verginità è un segno “escatologico” di Cristo risorto, il matrimonio è un segno “storico” per coloro che camminano sulla terra, un segno di Cristo terreno che accettò di unirsi a noi e si donò fino a donare il suo sangue. La verginità e il matrimonio sono, e devono essere, modalità diverse di amare, perché l’uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per sé stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l’amore.

Il celibato corre il rischio di essere una comoda solitudine, che offre libertà per muoversi con autonomia, per cambiare posto, compiti e scelte, per disporre del proprio denaro, per frequentare persone diverse secondo l’attrattiva del momento. In tal caso, risplende la testimonianza delle persone sposate. Coloro che sono stati chiamati alla verginità possono trovare in alcune coppie di coniugi un segno chiaro della generosa e indistruttibile fedeltà di Dio alla sua Alleanza, che può stimolare i loro cuori a una disponibilità più concreta e oblativa. Infatti ci sono persone sposate che mantengono la loro fedeltà quando il coniuge è diventato sgradevole fisicamente, o quando non soddisfa le loro necessità, nonostante che molte occasioni li invitino all’infedeltà o all’abbandono.

Una donna può curare suo marito malato e lì, accanto alla Croce, torna a ripetere il “sì” del suo amore fino alla morte. In tale amore si manifesta in modo splendido la dignità di chi ama, dignità come riflesso della carità, dal momento che è proprio della carità amare più che essere amati. Possiamo anche riscontrare in molte famiglie una capacità di servizio oblativo e tenero nei confronti di figli difficili e persino ingrati.

Questo fa di tali genitori un segno dell’amore libero e disinteressato di Gesù. Tutto ciò diventa un invito alle persone celibi perché vivano la loro dedizione per il Regno con maggiore generosità e disponibilità.