RIFLESSIONE DEL PARROCO

Vi invito a riflettere su altri due aspetti importanti della famiglia.
Distacco generoso
Abbiamo detto molte volte che per amare gli altri occorre prima amare sé stessi. Tuttavia, questo inno all’amore afferma che l’amore “non cerca il proprio interesse”, o che “non cerca quello che è suo”. Questa espressione si usa pure in un altro testo: «Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri» (Fil 2,4). Davanti ad un’affermazione così chiara delle Scritture, bisogna evitare di attribuire priorità all’amore per sé stessi come se fosse più nobile del dono di sé stessi agli altri. Una certa priorità dell’amore per sé stessi può intendersi solamente come una condizione psicologica, in quanto chi è incapace di amare sé stesso incontra difficoltà ad amare gli altri: «Chi è cattivo con sé stesso con chi sarà buono? […] Nessuno è peggiore di chi danneggia sé stesso» (Sir 14,5-6).
Però lo stesso Tommaso d’Aquino ha spiegato che «è più proprio della carità voler amare che voler essere amati» e che, in effetti, «le madri, che sono quelle che amano di più, cercano più di amare che di essere amate». Perciò l’amore può spingersi oltre la giustizia e straripare gratuitamente, «senza sperarne nulla» (Lc 6,35), fino ad arrivare all’amore più grande, che è «dare la vita» per gli altri (Gv 15,13). È ancora possibile questa generosità che permette di donare gratuitamente, e di donare sino alla fine? Sicuramente è possibile, perché è ciò che chiede il Vangelo: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,8).

Ci lasciamo amare dalle persone che vivono con noi oppure vogliamo solo dare amore?

 Senza violenza interiore
Se la prima espressione dell’inno ci invitava alla pazienza che evita di reagire bruscamente di fronte alle debolezze o agli errori degli altri, adesso appare un’altra parola – paroxynetai – che si riferisce ad una reazione interiore di indignazione provocata da qualcosa di esterno. Si tratta di una violenza interna, di una irritazione non manifesta che ci mette sulla difensiva davanti agli altri, come se fossero nemici fastidiosi che occorre evitare. Alimentare tale aggressività intima non serve a nulla. Ci fa solo ammalare e finisce per isolarci. L’indignazione è sana quando ci porta a reagire di fronte a una grave ingiustizia, ma è dannosa quando tende ad impregnare tutti i nostri atteggiamenti verso gli altri.
Il Vangelo invita piuttosto a guardare la trave nel proprio occhio (cfr Mt 7,5), e come cristiani non possiamo ignorare il costante invito della Parola di Dio a non alimentare l’ira: «Non lasciarti vincere dal male» (Rm 12,21). «E non stanchiamoci di fare il bene» (Gal 6,9). Una cosa è sentire la forza dell’aggressività che erompe e altra cosa è acconsentire ad essa, lasciare che diventi un atteggiamento permanente: «Adiratevi, ma non peccate; non tramonti il sole sopra la vostra ira» (Ef 4,26). Perciò, non bisogna mai finire la giornata senza fare pace in famiglia. «E come devo fare la pace? Mettermi in ginocchio? No! Soltanto un piccolo gesto, una cosina così, e l’armonia familiare torna. Basta una carezza, senza parole. Ma mai finire la giornata in famiglia senza fare la pace!». La reazione interiore di fronte a una molestia causata dagli altri dovrebbe essere anzitutto benedire nel cuore, desiderare il bene dell’altro, chiedere a Dio che lo liberi e lo guarisca: «Rispondete augurando il bene. A questo infatti siete stati chiamati da Dio per avere in eredità la sua benedizione» (1 Pt 3,9).

Se dobbiamo lottare contro un male, facciamolo, ma diciamo sempre “no” alla violenza interiore.

 

RIFLESSIONE DEL PARROCO

Vi invito a riflettere su altri due aspetti importanti della famiglia.

Senza vantarsi o gonfiarsi

L’espressione perpereuetai, che indica la vanagloria, l’ansia di mostrarsi superiori per impressionare gli altri con un atteggiamento pesante e piuttosto aggressivo. Chi ama, non solo evita di parlare troppo di sé stesso, ma inoltre, poiché è centrato negli altri, sa mettersi al suo posto, senza pretendere di stare al centro. La parola seguente – physioutai – è molto simile, perché indica che l’amore non è arrogante. Letteralmente esprime il fatto che non si “ingrandisce” di fronte agli altri, e indica qualcosa di più sottile. Non è solo un’ossessione per mostrare le proprie qualità, ma fa anche perdere il senso della realtà. Ci si considera più grandi di quello che si è perché ci si crede più “spirituali” o “saggi”. Paolo usa questo verbo altre volte, per esempio per dire che «la conoscenza riempie di orgoglio, mentre l’amore edifica» (1 Cor 8,1). Vale a dire, alcuni si credono grandi perché sanno più degli altri, e si dedicano a pretendere da loro e a controllarli, quando in realtà quello che ci rende grandi è l’amore che comprende, cura, sostiene il debole. E’ importante che i cristiani vivano questo atteggiamento nel loro modo di trattare i familiari poco formati nella fede, fragili o meno sicuri nelle loro convinzioni. A volte accade il contrario: quelli che, nell’ambito della loro famiglia, si suppone siano cresciuti maggiormente, diventano arroganti e insopportabili. L’atteggiamento dell’umiltà appare qui come qualcosa che è parte dell’amore, perché per poter comprendere, scusare e servire gli altri di cuore, è indispensabile guarire l’orgoglio e coltivare l’umiltà. Gesù ricordava ai suoi discepoli che nel mondo del potere ciascuno cerca di dominare l’altro, e per questo dice loro: «tra voi non sarà così» (Mt 20,26). La logica dell’amore cristiano non è quella di chi si sente superiore agli altri e ha bisogno di far loro sentire il suo potere, ma quella per cui «chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore» (Mt 20,27). Nella vita familiare non può regnare la logica del dominio degli uni sugli altri, o la competizione per vedere chi è più intelligente o potente, perché tale logica fa venir meno l’amore.  Nella mia famiglia come mi comporto: sono umile o cerco a dominare gli altri?

 

Amabilità

Amare significa anche rendersi amabili, e qui trova senso l’espressione aschemonei. Vuole indicare che l’amore non opera in maniera rude, non agisce in modo scortese, non è duro nel tratto. I suoi modi, le sue parole, i suoi gesti, sono gradevoli e non aspri o rigidi. Detesta far soffrire gli altri. La cortesia «è una scuola di sensibilità e disinteresse» che esige dalla persona che «coltivi la sua mente e i suoi sensi, che impari ad ascoltare, a parlare e in certi momenti a tacere». Essere amabile non è uno stile che un cristiano possa scegliere o rifiutare: è parte delle esigenze irrinunciabili dell’amore, perciò «ogni essere umano è tenuto ad essere affabile con quelli che lo circondano». Ogni giorno, «entrare nella vita dell’altro, anche quando fa parte della nostra vita, chiede la delicatezza di un atteggiamento non invasivo, che rinnova la fiducia e il rispetto. […] E l’amore, quanto più è intimo e profondo, tanto più esige il rispetto della libertà e la capacità di attendere che l’altro apra la porta del suo cuore». Per disporsi ad un vero incontro con l’altro, si richiede uno sguardo amabile posato su di lui. Questo non è possibile quando regna un pessimismo che mette in rilievo i difetti e gli errori altrui, forse per compensare i propri complessi. Uno sguardo amabile ci permette di non soffermarci molto sui limiti dell’altro, e così possiamo tollerarlo e unirci in un progetto comune, anche se siamo differenti. L’amore amabile genera vincoli, coltiva legami, crea nuove reti d’integrazione, costruisce una solida trama sociale. In tal modo protegge sé stesso, perché senza senso di appartenenza non si può sostenere una dedizione agli altri, ognuno finisce per cercare unicamente la propria convenienza e la convivenza diventa impossibile. Una persona antisociale crede che gli altri esistano per soddisfare le sue necessità, e che quando lo fanno compiono solo il loro dovere. Dunque non c’è spazio per l’amabilità dell’amore e del suo linguaggio. Chi ama è capace di dire parole di incoraggiamento, che confortano, che danno forza, che consolano, che stimolano. Mi propongo di essere amabile, di creare ponti, di confortare gli altri.

RIFLESSIONE DEL PARROCO

Credo che la famiglia sia al centro delle nostre comunità, non potrebbe essere altrimenti. Vi assicuro la mia preghiera e il mio sostegno, se volete proporre qualche incontro o attività sono a vostra disposizione.
Dopo la pazienza siamo invitati ad essere benevoli e a guarire dall’invidia.

Atteggiamento di benevolenza
Segue la parola chresteuetai, che è unica in tutta la Bibbia, derivata da chrestos (persona buona, che mostra la sua bontà nelle azioni). Però, considerata la posizione in cui si trova, in stretto parallelismo con il verbo precedente, ne diventa un complemento. In tal modo Paolo vuole mettere in chiaro che la “pazienza” nominata al primo posto, non è un atteggiamento totalmente passivo, bensì è accompagnata da un’attività, da una reazione dinamica e creativa nei confronti degli altri. Indica che l’amore fa del bene agli altri e li promuove. Perciò si traduce come “benevola”.
Nell’insieme del testo si vede che Paolo vuole insistere sul fatto che l’amore non è solo un sentimento, ma che si deve intendere nel senso che il verbo “amare” che in ebraico vale a dire: “fare il bene”. Come diceva sant’Ignazio di Loyola, «l’amore si deve porre più nelle opere che nelle parole». In questo modo può mostrare tutta la sua fecondità, e ci permette di sperimentare la felicità di dare, la nobiltà e la grandezza di donarsi in modo sovrabbondante, senza misurare, senza esigere ricompense, per il solo gusto di dare e di servire.
Cerchiamo di gustare sempre più la gioia nel dare e nel servire gli altri membri della propria famiglia.

Guarendo l’invidia
Quindi si rifiuta come contrario all’amore un atteggiamento espresso con il termine zelos (gelosia o invidia). Significa che nell’amore non c’è posto per il provare dispiacere a causa del bene dell’altro. L’invidia è una tristezza per il bene altrui e dimostra che non ci interessa la felicità degli altri, poiché siamo esclusivamente concentrati sul nostro benessere. Mentre l’amore ci fa uscire da noi stessi, l’invidia ci porta a centrarci sul nostro io.
Il vero amore apprezza i successi degli altri, non li sente come una minaccia, e si libera del sapore amaro dell’invidia. Accetta il fatto che ognuno ha doni differenti e strade diverse nella vita. Dunque fa in modo di scoprire la propria strada per essere felice, lasciando che gli altri trovino la loro.
In definitiva si tratta di adempiere quello che richiedevano gli ultimi due comandamenti della Legge di Dio: «Non desidererai la casa del tuo prossimo. Non desidererai la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo né la sua schiava, né il suo bue né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo» (Es 20,17). L’amore ci porta a un sincero apprezzamento di ciascun essere umano, riconoscendo il suo diritto alla felicità.
Amo quella persona, la guardo con lo sguardo di Dio Padre, che ci dona tutto «perché possiamo goderne» (1 Tm 6,17), e dunque accetto dentro di me che possa godere di un buon momento. Questa stessa radice dell’amore, in ogni caso, è quella che mi porta a rifiutare l’ingiustizia per il fatto che alcuni hanno troppo e altri non hanno nulla, o quella che mi spinge a far sì che anche quanti sono scartati dalla società possano vivere un po’ di gioia. Questo però non è invidia, ma desiderio di equità.

Volgiamo migliorare il mondo? Allora desideriamo la felicità degli altri e la nostra, amando concretamente tutti ogni giorno nelle situazioni concrete della vita.

 Don Gabriel

 

 

 

RIFLESSIONE DEL PARROCO

          L’AMORE NEL MATRIMONIO

Da oggi voglio condividere con tutte le famiglie che vogliono interrogarsi, fare un cammino assieme, alcuni messaggi importanti che si trovano nel documento del Papa Francesco Amoris Laetitia.
Credo sia importante pregare per le nostre famiglie, avere delle iniziative per i loro figli, però bisogna pensare anche ai genitori che hanno bisogno del nostro sostegno anche concreto.

Adesso ci soffermiamo in modo specifico a parlare dell’amore. Perché non potremo incoraggiare un cammino di fedeltà e di reciproca donazione se non stimoliamo la crescita, il consolidamento e l’approfondimento dell’amore coniugale e familiare. In effetti, la grazia del sacramento del matrimonio è destinata prima di tutto «a perfezionare l’amore dei coniugi». Anche in questo caso rimane valido che, anche «se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla. E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe» (1 Cor 13,2-3). La parola “amore”, tuttavia, che è una delle più utilizzate, molte volte appare sfigurata. Nel inno alla carità scritto da San Paolo, riscontriamo alcune caratteristiche del vero amore:

«La carità è paziente, benevola è la carità;
non è invidiosa, non si vanta,
non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto,
non cerca il proprio interesse, non si adira,
non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia
ma si rallegra della verità.
Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta» (1 Cor 13,4-7)
.

Questo si vive e si coltiva nella vita che condividono tutti i giorni gli sposi, tra di loro e con i loro figli. Perciò è prezioso soffermarsi a precisare il senso delle espressioni di questo testo, per tentarne un’applicazione all’esistenza concreta di ogni famiglia.

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Pazienza 

La pazienza non è semplicemente “che sopporta ogni cosa”, perché questa idea viene espressa alla fine del v. 7. Il senso si coglie dalla traduzione greca dell’Antico Testamento, dove si afferma che Dio è «lento all’ira» (Es 34,6; Nm 14,18). Si mostra quando la persona non si lascia guidare dagli impulsi e evita di aggredire. È una caratteristica del Dio dell’Alleanza che chiama ad imitarlo anche all’interno della vita familiare. I testi in cui Paolo fa uso di questo termine si devono leggere sullo sfondo del libro della Sapienza (cfr 11,23; 12,2.15-18): nello stesso tempo in cui si loda la moderazione di Dio al fine di dare spazio al pentimento, si insiste sul suo potere che si manifesta quando agisce con misericordia.

La pazienza di Dio è esercizio di misericordia verso il peccatore e manifesta l’autentico potere.

Essere pazienti non significa lasciare che ci maltrattino continuamente, o tollerare aggressioni fisiche, o permettere che ci trattino come oggetti.
Il problema si pone quando pretendiamo che le relazioni siano idilliache o che le persone siano perfette, o quando ci collochiamo al centro e aspettiamo unicamente che si faccia la nostra volontà. Allora tutto ci spazientisce, tutto ci porta a reagire con aggressività.
Se non coltiviamo la pazienza, avremo sempre delle scuse per rispondere con ira, e alla fine diventeremo persone che non sanno convivere, antisociali incapaci di dominare gli impulsi, e la famiglia si trasformerà in un campo di battaglia.
Per questo la Parola di Dio ci esorta: «Scompaiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenze con ogni sorta di malignità» (Ef 4,31).

Questa pazienza si rafforza quando riconosco che anche l’altro possiede il diritto a vivere su questa terra insieme a me, così com’è. Non importa se è un fastidio per me, se altera i miei piani, se mi molesta con il suo modo di essere o con le sue idee, se non è in tutto come mi aspettavo.

L’amore comporta sempre un senso di profonda compassione, che porta ad accettare l’altro come parte di questo mondo, anche quando agisce in un modo diverso da quello che io avrei desiderato.

Chiediamoci:

nella mia famiglia, sono paziente, cioè uso misericordia, perdono? Accetto gli altri così come sono?

 

44ª GIORNATA NAZIONALE PER LA VITA 6 febbraio 2022 CUSTODIRE OGNI VITA

“Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse” (Gen 2,15).
La risposta che ogni vita fragile silenziosamente sollecita è quella della custodia.  “Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato! La vocazione del custodire non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. È il custodire l’intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d’Assisi: è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo. È il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore. È l’aver cura l’uno dell’altro nella famiglia: i coniugi si custodiscono reciprocamente, come genitori si prendono cura dei figli, e col tempo anche i figli diventano custodi dei genitori. È il vivere con sincerità le amicizie, che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel bene” (Papa Francesco, Omelia, 19 marzo 2013).
Le persone, le famiglie, le comunità e le istituzioni non si sottraggano a questo compito, imboccando ipocrite scorciatoie, ma si impegnino sempre più seriamente a custodire ogni vita.

RIFLESSIONE DEL PARROCO

Tra qualche giorno invito a un incontro importante i membri del Gruppo di riferimento parrocchiale, i membri del Consiglio per gli affari economici di ogni parrocchia nella propria chiesa e chi vorrebbe aggiungersi per il bene della comunità.
L’unità fa’ la forza. L’amore la rafforza.
Sono convinto che Dio parla attraverso tutti, vi invito a condividere la vostra conoscenza.
Il ruolo del Parroco è di mettere insieme, di cercare il bene maggiore di ogni comunità. Vi invito a partecipare numerosi.

Don Gabriel

RIFLESSIONE DEL PARROCO

Cosa dire all’inizio di un nuovo anno? Vi dico che la Chiesa
ci fa benedire da Maria Santissima, Madre di Dio, come una
mamma benedice i suoi figli che devono partire per un viaggio.
Vi invito a coltivare sempre più il nostro spirito, la nostra
relazione con Dio, a cui appartengono i giorni, e daremo sempre
più importanza al senso che diamo al tempo.
Utilizziamo il tempo per fare del bene, per amare e il regno di Gesù, appena nato a Betlemme si diffonderà nei nostri
cuori, nelle nostre famiglie, nelle nostre parrocchie.
Felice anno nuovo!
Buins fiestis!

Don Gabriel

RIFLESSIONE DEL PARROCO

“Vi annuncio una grande gioia: oggi è nato per voi un Salvatore, Cristo Gesù.”
                                                                                                        Lc 2,10-11
Cari parrocchiani, vi invito ad accogliere questa grande gioia nella vostra vita, nelle vostre famiglie!
Il bambino Gesù è l’Emanuele, il Dio-con-noi, d’ora in poi non saremo mai soli. Lasciamoci avvolgere dalla sua presenza.
Contemplando la grotta di Betlemme scopriamo con stupore che Gesù, il Figlio di Dio, è nato nella povertà, nella semplicità e nell’amore.
Impariamo anche noi a percorrere la stessa strada per incontrare il Signore.

 Buon santo Natale! Felice anno nuovo!
Bôn Nadal! Buins fiestis!

 Don Gabriel

RIFLESSIONE DEL PARROCO

Questa terza domenica di Avvento è la domenica della gioia perché la Natività di Gesù si avvicina e il profeta Giovanni Battista ci invita ad agi[1]re, a essere concreti, a salutare, a prendere cura di qualcuno. Da qualche giorno ho cominciato la visita agli anziani e ammalati, per conoscerli, per portare loro la Comunione, chiedere la loro benedizione, preghiera e saggezza di vita. Loro sono una ricchezza per le nostre comunità, vanno valorizzati. In un modo particolare per le feste natalizie vi invito a uno slancio di fraternità e solidarietà perché la nascita di Gesù sia una gioia per tutti.
Dio vi benedica!

RIFLESSIONE DEL PARROCO

Come ringraziarvi per la bellissima celebrazione per il mio ingresso in mezzo a voi?
“Alzerò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore”. Salmo 115,4
Passerò in ognuna delle sette comunità per esprimervi il mio grazie. E se la prima impressione conta, vuol dire che c’è una grande disponibilità a collaborare per fare comunità. Personalmente sono molto contento e ho cominciato la mia missione con grande impegno ed entusiasmo.
Dio vi benedica. Mandi.                                                                              Don Gabriel