Interiorità in crisi (6)
Perché è urgente tornare a parlare di interiorità e riscoprire anzi il gusto di essa? Viviamo in una civiltà tutta proiettata all’esterno, fuori. L’uomo invia le sue sonde fino alla periferia del sistema solare, ma ignora il più delle volte quello che c’è nel suo stesso cuore. Evadere, cioè uscire fuori, è una specie di parola d’ordine. Esiste perfino una letteratura di evasione, spettacoli di evasione. Una evasione istituzionalizzata. Al contrario, parole che indicano una conversione all’interiorità, come introversione, hanno acquistato un senso tendenzialmente negativo. L’introverso è visto come un ripiegato su sé stesso. Il silenzio fa paura. Non si riesce a vivere, lavorare, studiare senza qualche voce o musica intorno. C’è una specie di paura del vuoto, che spinge a stordirsi. Mai soli, è la parola d’ordine. Si coltiva il chiasso, il rumore assordante. Lo scopo: «Per non pensare!». Ma a quali manipolazioni sono esposti i giovani che hanno rinunciato ormai a pensare?
«Pesi il lavoro su questi uomini e vi si trovino impegnati, così che non diano retta alle parole di Mosè», fu l’ordine del Faraone d’Egitto (Cf Es 5, 9). Un ordine tacito, ma non meno perentorio, dei faraoni moderni è: «Pesi il chiasso su questi giovani, ne siano storditi, cosicché non pensino, non facciano delle scelte libere, ma seguano la moda che fa comodo a noi, comprino quello che diciamo noi, pensino come vogliamo noi!». Per un settore molto influente della nostra società, quello dello spettacolo e della pubblicità, gli individui contano solo in quanto sono «spettatori», numeri che fanno salire la «audience» dei programmi. Occorre opporsi a questo svuotamento.
I giovani sono anche i più generosi e pronti a ribellarsi alle schiavitù e infatti vi sono schiere di giovani che reagiscono a questo assalto e, anziché fuggire, ricercano luoghi e tempi di silenzio, contemplazione per ritrovare ogni tanto se stessi e, in se stessi, Dio. Giovani che hanno scoperto la differenza che c’è tra essere semplicemente «spettatori» e essere invece contemplativi. Essi hanno superato, all’indietro, il «muro del suono», questa terribile barriera tra sé e Dio.